MiG-21 Bis Eduard 1/48

Pubblicato: 20/12/2011 in Recensioni aerei

La prima impressione che si ha, aprendo la scatola dell’ultima release Eduard è di trovarsi di fronte a un modello bellisismo! E la prima impressione viene sempre più suffragata mano a mano che si esaminano le stampate! La voglia di mettere via tutti i progetti in corso e iniziare il modello sarà tantissima! Io m isono frenat osolo perché resto in attesa dei set di dettaglio della linea Brassin, che permetteranno di accrescere ancora di più il livello di dettaglio, già di per sé spaventoso! La scatola è zeppa di pezzi, l’incisione è finissima e completa, in negativo ma anche in positivo per simulare ad esempio le saldature del serbatoio supplementare. Il cockpit è un mix di parti in plastica e in fotoincisione precolorata. Anticipo il capitolo livree perché permette di capire ancora di più lo straordinario lavoro fatto dai tecnici cechi nel progettare il modello. Ben sei esemplari sono previsti dal foglio decal made in Italy: uno polacco in natural metal, uno finlandese, un Lazur bulgaro in livrea a tre toni, un tamarrisismo esemplare indiano tutto grigio ma con coda nera e vistose decorazione rosso-nere, un ungherese in livrea speciale con coda bianca e da ultimo un esemplare croato aggiornato allo standard D. Ebbene la Eduard ha tenuto conto delle differenze fra le varie sottoversioni, fornendo i pezzi appositi: antenne, antennine ma anche differenti configurazioni per il cockpit! Davvero un lavoro egregio, soprattutto considerato il fatto che tutto ciò non influisce sul prezzo! Ottimo lo scarico (ma quello in resina Brassin lo è ancora di più!!!). Ottimo il dettaglio dei vani carrelli, con già fornite le tubazioni e i dettagli più minuti, il che rendere inutile eventuali rimpiazzi in resina! Ottime le istruzioni, che presentano i profili a colori per aiutare nella pittura. I riferimenti sono per i colori Gunze. All’interno del kit sono fornite poi pratiche mascherine per le parti trasparenti e  per i dielettrici.
Che dire? Correte al primo negozio e comprate questo kit, è perfetto come regalo di Natale. Oppure mettetelo nella vostra wishlist da spedire all’attenzione di babbo Natale…chissà mai che sotto l’albero potreste trovarvi una bella sorpresa!

 

  • MODELLO: MiG-21 Bis
  • SCALA: 1/48
  • MARCA: Eduard
  • ARTICOLO: 5132
  • TIPO KIT: plastica a iniezione
  • PREZZO: 36 euro
  • COSA VA: il miglior kit del Mig-21 in ogni scala in circolazione!
  • COSA NON VA: //

Alzi la mano che di voi non possiede almeno un modello di F-104 in vetrina e perlomeno una decina di scatole nella propria pila dei kit che un giorno più o meno lontano costruiremo! L’F-104 è infatti una vera e propria leggenda dell’aria e probabilmente uno degli aerei più realizzati dai modellisti, specialmente in Italia, dove lo Spillone (come era chiamato da noi questo straordinario velivolo) è rimasto in servizio fino a non tantissimi anni fa. Quello che vi voglio proporre in queste poche, umili, righe è un 104 diverso dal solito con coccarde tricolori: si tratta di un F-104A dell’aviazione Pakistana che fu impegnati negli scontri aerei contro i MiG indiani durante una delle tante guerre che insanguinarono il sub continente indiano a cavallo fra gli anni sessanta e settanta. E qui per gli amanti del «Cacciatore di Stelle» le notizie non sono per nulla belle, perché l’avanzato ed elegante F-104 americano, fece una ben magra figura contro i più sgraziati e modesti MiG-21 Indiani, i quali ottennero numerose vittorie grazie soprattutto alla potenza del loro cannone, in grado di fare letteralmente a pezzi gli aerei nemici. Campale fu la giornata del 12 dicembre 1971, quando perlomeno tre F-104 furono abbattuti dai MiG Indiani. Poco invidiabile fu la sorte del comandante pakistano Mervyn Middlecoat, che eiettatosi dal suo aereo in fiamme sopra il mare, fu dichiarato disperso dopo alcuni giorni di vane ricerche: essendo il Golfo di Kutch infestato da squali, è assai probabile che lo sfortunato pilota abbia terminato i suoi giorni come pasto proprio per gli affamati predatori marini.

NOTE MODELLISTICHE

Quando una decina di anni fa Hasegawa mise in commercio il suo F-104 in 1/48 (sia nella versione “early” C da me usata, che nelle successive G ed S), finalmente molti appassionati potevano mandare in pensione i vetusti kit Monogram ed Esci e disporre finalmente di uno stampo moderno e di altissima qualità, finemente inciso e dal montaggio facile e veloce. Molte voci critiche si sono levate contro l’eccessiva rivettatura dell’ala, ma francamente non l’ho ritenuto importante. Alcuni stuccano e carteggiano il tutto, io mi sono limitato a non enfatizzare suddetta rivettatura in sede di lavaggio a olio. Il mio Spillone è stato montato del tutto da scatola, eccezion fatta per lo splendido seggiolino C-2 della Cutting Edge che rende valore a un abitacolo già ottimo da scatola. Naturalmente per i fanatici della resina, esistono sul mercato fior di set di dettaglio. Forse l’unico veramente utile è lo scarico in resina della Aires, che infatti ho usato

Detto del seggiolino, l’abitacolo si vernicia per intero in grigio H317, con i soliti lavaggi e dry-brush per evidenziare i dettagli delle consolles, dipinte in nero.

Per quanto riguarda il montaggio, basta dire che è senza storia. Stucco poco o nulla, giunzioni perfette tanto che mi sono potuto concedere il lusso di verniciare a parte le ali e montarle dopo la fase di pittura! Con un modello così godurioso, perché complicarsi inutilmente la vita coi set di dettaglio?

Molto buoni i carrelli e i relativi vani: per loro una bella mano di argento X11 Tamiya e un bel lavaggio in nero a olio e il gioco è fatto. Ottime le ruote, con i cerchi staccati dal battistrada che facilita non poco la pittura, mentre per il pneumatico anteriore ci viene incontro il set della Montex di mascherine pretagliate. Lasciatemi fare l’ennesima lode a questa ditta, che toglie non pochi impicci a modellisti pigri come il sottoscritto!!!

In men che non si dica arriviamo così alla fase di pittura!

VERNICIATURA

Come detto, volevo fare un qualcosa che fosse diverso dal solito Spillone italiano e quindi, quando mi sono imbattuto in questo 104 la molla è scattata subito. Un po’ di storia: normalmente i 104 pakistani vestivano la livrea metallica. Alcuni di essi però, già ceduti alla Giordania e già in livrea mimetica giordana, furono in tutta fretta richiamati in Pakistan e mandati a combattere. Il mio esemplare, contrassegnato dalla sola lettera D in stile inglese sulla coda, fu abbattuto nel dicembre del ’71.

Per la livrea ho usato i colori Gunze diluiti come al solito con alcool rosa. Qui sotto i colori da me usati:

H311: grigio chiaro

H404: sabbia

H72: marrone

H330: verde scuro

La zona fra il grigio e la mimetica superiore è stata delimitata con scotch, mentre i bordi delle varie zone mimetiche, più morbide, sono stati creati con l’ausilio del Patafix, ormai divenuto per insostiuibile!!

Per l’invecchiamento ho fatto ricorso al classico post-shading e a lavaggi a olio nero dopo aver lucidato e profumato il mio modello grazie alla insostituibile cera Future.

Quanto alle decals, non avendo trovato il foglio Iliad Design che offre proprio quell’esemplare, mi sono arrangiato recuperando la D da un foglio decals del Tornado Italeri, mentre le coccarde e le bandierine pakistane mi sono state gentilmente fornite dall’amico Gianni Cassi che ringrazio.

CI SIAMO!!

Dopo aver sigillato decals e lavaggi con un’ulteriore passata di Future e con la mano finale di trasparente opaco Lifecolor, si può passare al montaggio delle ali, del radome e degli ultimi particolari più fragili. Ora il mio Spillone risplende nella mia bacheca e la tentazione di metterci affianco la sua nemesi è tanta…
Buon modellismo!!!

Alessandro Gennari

E facciamolo strano!!!!!

Pubblicato: 21/10/2011 in riflessioni e altro

Stanchi dei soliti, monotoni, classici della Seconda Guerra Mondiale, magari fatti sempre con le insegne dei soliti noti assi della caccia?? Non ne potete più di grigi aerei americani tutti uguali fra loro? Volete cambiare un po’ dopo aver fatto il quarantesimo F-104 con le coccarde italiane?? Se la risposta a tutti questi impegnativi e amletici quesiti è si, allora ho la soluzione che fa per voi!!! Proviate a cercare un po’ nel variegato mondo delle aviazioni minori, sparse qua e là per il globo terracqueo, e avrete di che divertirvi! Anzi, vi si spalancheranno delle porte che danno su un mondo le cui possibilità sono infinite! Dalle aeronautiche minori del continente europeo, a quelle africane, centro e sudamericane, fino a quelle asiatiche: qui troverete pane per i vostri denti e aggiungerete alla vostra collezione pezzi rari e interessanti. Io da quando ho cominciato a esplorare questo filone, non ho più smesso. Fare ricerche in questo senso è assai divertente ed eccitante, inoltre su alcuni forum si trovano ampie discussioni dedicate a questo tema.
Avete capito, quindi? Basta Messerschmitt, P-51, Spitfire. Dite no a F.16 e soci. Buttatevi in rete e cominciate a ricercare: vedrete che, una volta spento il vostro pc, sarete guidati immediatamente verso il più vicino negozio di modellismo e il vostro magazzino scatole si riempirà di MiG e altre strane creature volanti pronte e a ricevere mimetiche e coccarde mai viste.

Provare per credere!!!

One step beyond!!!

Pubblicato: 03/03/2011 in riflessioni e altro

Ebbene si, è giunto il momento. E’ giunto il momento di dare la mia tesi specialistica in modellismo. E’ giunto il momento di provare a fare quel passo in avanti e provare ad applicare nuove tecniche, un po’ più avanzate e avvicinarsi alle opere dei “maestri”. E’ arrivato il momento di modificare, migliorare, attenersi scrupolosamente alla documentazione. O perlomeno di provarci. Non mi laureerò con il massimo dei voti? Poco male, si può provare e riprovare, finchè i risultati non saranno quelli che voglio io! E poi -perché dovrei?-, non si abbandona del tutto il passato: ogni tanto qualche montaggio rilassante si può sempre fare, da scatola, senza patemi, per il puro divertimento e per poter aggiungere nuovi pezzi alla mia vetrina e non veder crescere in maniera incontrollata la pigna delle scatole da fare. E ho deciso che il passo in avanti s’ha da fare tanto negli aerei quanto nelle automobili, e ho deciso che farò la tesi con un bel MiG-21 in 1/32 e una Formula 1 Tamiya in 1/12 ancora de decidere. E’ arrivato il momento di andare oltre, un passo oltre. One step beyond, come la celeberrima canzone dei Madness.

 

Una volta un utente di un forum che frequento io ha lanciato un interessante spunto di discussione: la solitudine del modellista. Ed è proprio questo di cui voglio parlare in questo intervento, perché lo spunto è davvero notevole e merita un approfondimento. Perché effettivamente, se non ci fossero gli spazi come i forum, dove moltissimi appassionati si trovano a discutere, la vita del modellista sarebbe davvero grama, soprattutto nell’epoca di oggi dove a dominare ci sono computer, videogiochi, televisione, e ahimè, valori inculcati in modo tale da far apparire chi si trastulla con plastica, colori e libri di storia solo un patetico perditempo. E’ davvero così o questo è solo frutto di pregiudizio? La seconda risposta è quella valida. Come de lesto è un altro pregiudizio diffuso e invero assai fastidioso, l’idea che va diffondendosi presso alcuni benpensanti dal modesto orizzonte intellettuale, che tutti i modellisti, specialmente quelli che fanno aerei e mezzi militari, siano una congrega di guerrafondai repressi ed esaltati, fieri veicolatori dell’apologia della violenza, una specie di futuristi post-litteram con le loro bislacche idee di guerra come sola igiene del mondo. Niente di più errato. Aldilà della mia ampollosa divagazione colta, il succo del discorso è questo: dietro la riproduzione di uno strumento di morte come può essere un carro armato o un aereo armato fino ai denti c’è tutto fuorché l’esaltazione della guerra. Ci può essere la semplice ammirazione per l’aspetto tecnologico ed estetico: è fuor di dubbio che ogni aereo, dai primi biplani ai più moderni jet invisibili ai radar, siano dei veri e propri capolavori dell’ingegno umano e dei veri e propri monumenti ad esso (basta semplicemente correlare ogni aereo alla sua epoca e davvero non si può non rimanere a bocca aperta davanti all’ingegnosità di alcuni progettisti e ingegneri!) L’utilizzo che se ne vuole è demandato alla coscienza del singolo, e purtroppo ci sono coscienze più bacate di altre. Ma questo è un altro discorso! Altra motivazione che sta dietro al modellismo è quella del tutto opposta all’esaltazione della guerra, ovvero la sua condanna, messa in atto con uno strumento semplicismo: la memoria. Tramandare alle nuove generazioni quella che è stata la storia, per fare si che si evitino altri errori, altri orrori, altre tragedie. Terzo motivo: l’interesse per la storia. E di conseguenza, uno strettissimo legame con il punto due. Quanto al sentirsi uno sfigato, io personalmente no. Permettetemi una punta di qualunquismo, che tutto sommato non ci sta mai male: se l’alternativa al modellismo è quella di rincoglionirmi davanti a una televisione a farmi appiattire il cervello da programmi da serie Z, andare in discoteca e sballare fino a schiantarmi contro un muro, languire nell’inedia, a questo punto dico: meglio un modello! Come l’accanito lettore dirà meglio un libro, come chiunque altro hobbista dirà meglio il mio hobby. Detto questo, torniamo al punto centrale: vi è la necessità di fare uscire il modellismo dalla nicchia in cui si trova, e perché ciò sia possibile, è necessario che innanzitutto si abbandoni l’eccessivo tecnicismo e la regolamentazione da salon che si respira in alcuni concorsi; avvicinare le nuove generazioni con laboratori, corsi e altre attività che permettano al bambino di prendere in considerazione l’idea di creare qualcosa con le proprie mani. Ma ahimè, con il periodo di tagli ai fondi, la prospettiva scolastica è da chiudere nel cassetto dei sogni (voglio essere ottimista e non parlare di utopia). Sono queste le soluzioni per fare si che lo spazio di discussione del nostro hobby non sia limitato ai soli forum specializzati, quasi a volersi nascondere come gli alcolisti anonimi.

Il folle volo di Mathias Rust

Pubblicato: 13/01/2011 in Storia

Fra gli episodi più curiosi risalenti all’epoca della Guerra Fredda, vi fu il folle e simbolico volo che un diciannovenne occhialuto aviatore tedesco, Mathias Rust, compì nel 1987. Egli, dopo aver noleggiato un Cessna 172 dall’Aeroclub di Amburgo, decollò alla volta di Hlesinki in Finlandia, dopo aver fatto tappa in Islanda, Far Oer e Norvegia. Fu dalla capitale Finlandese che spiccò il volo per dirigersi niente meno che verso Mosca! Così, il 28 maggio, dopo aver depositato un falso piano di volo secondo cui egli dichiarava di volersi dirigere verso la Svezia, si diresse invece verso l’Estonia, cambiano rotta in pieno mare aperto e ponendosi al di sotto della quota di intercettazione radar, il tutto dopo aver chiuso ogni contatto radio, cosa che lasciò pensare ad un incidente, tanto che la Guardia Costiera finlandese, predispose al volo una missione di salvataggio! Ma il piccolo Cessna non era precipitato, anzi, dopo aver attraversato il braccio di mare che separa Finlandia ed Estonia, il nostro era penetrato nello spazio aereo Sovietico, una mossa decisamente azzardata, visto quando accaduto poco meno di quattro anni prima al Boeing 747 della Korean Airlines, volo KAL007, che era stato abbattuto dai missili sparati dal Sukhoi 15 “Flagon” comandato dal maggiore Gennadij Nikolaevič Osipovič, uccidendo 296 persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio. Malgrado la grande risonanza internazionale de tragico evento, avesse portato i responsabili della VPVO (difesa aerea Russa) le regole di ingaggio e intercettazione, tuttavia violare lo spazio aereo Sovietico restava sempre molto ma molto pericoloso. Tanto che non appena il Cessna di Rust apparve sui radar sovietici, venne tenuto d’occhio da tre batterie di missili SAM, pronti a far fuoco. Ma a ciò essi non furono mai autorizzati, e così si levarono in volo due MiG (con buona probabilità i nuovi MiG-29 Fulcrum ,ma questo le fonti in mio possesso non lo dicono!), che intercettarono l’intruso ma che anche loro non ricevettero il permesso per fare fuoco. Il Cessna intruso venne rilevato diverse volte, ma numerosi fattori, che testimoniavano la buona stella del temerario studente tedesco, fecero si che egli potesse completare il suo volo del tutto indisturbato:a) recente riorganizzazione della VPVO assegnava la difesa aerea dello spazio russo a vari distretti, i quali però erano mal collegati fra lorob) nei pressi di Pskov si teneva un’esercitazione sull’uso delle apparecchiature IFF (Identification Friend or Foe), per cui tutti i velivoli nella zona vennero identificati come friendc) nella zona di Thorzok erano in corso le operazione di ricerca e soccorso in seguito a un incidente aereo accaduto il giorno prima; la bassa velocità e la quota di volo del Cessna indussero i controllori di volo a credere che si trattasse di uno degli elicotteri impegnati in queste operazionid) il sistema di difesa aerea centrale, situato presso l’aeroporto internazionale di Mosca Seremet’evo, era disattivato causa intervento di manutenzione straordinaria. Dato che in quel lasso di tempo, nessun volo fu autorizzato a passare sopra la zona, Rust passò del tutto inosservatoDopo circa cinque ore di volo, arrivò sopra la capitale Sovietica alle 19 in punto. Ora non gli restava che trovare un punto dove atterrare. Dopo aver scartato l’idea di atterrare nei pressi del Cremlino, causa mancanza di spazio per poter atterrare in sicurezza, egli vide un ponte stradale a sei corsie, e lì posò le ruote. Dopo un breve rullaggio presso la cattedrale di San Basilio, egli posteggiò il suo aereo fra la popolazione attonita, che lo accolse offrendogli pane e sale, un gesto che in Russia significa benvenuto!Purtroppo, le vere intenzioni di Rust, che affermò di aver compiuto quel gesto “per dire ai leader dei due blocchi che la gente, dalle due parti della Cortina di ferro, voleva solo vivere in pace” non vennero comprese nè dalle autorità sovietiche, che lo accusarono di teppismo aggravato, violazione di leggi sull’aviazione e varco di confine non autorizzato, nè dalle autorità occidentali che bollarono il volo di Rust come una provocazione inopportuna, dopo che i rapporti fra i due blocchi erano tornati tesi. Inoltre, sempre in Unione Sovietica caddero non poche teste ai vertici della VPVO, dato che non eran ostati in grado di evitare che lo spazio aereo di una delle più grandi potenze mondiali, venisse impunemente violato da un diciannovenne ai comandi di un aereo da turismo. Dopo una condanna di quattro anni ai lavori forzati, egli tornò in Germania a seguito dell’amnistia firmata dal Soviet Supremo il 3 agosto del 1988. Al suo paese, non solo non venne accolto come un eroe come lui si aspettava (fu bollato come nemico della pace e fu privato del brevetto di volo), ma divenne un aficionado delle carceri federali per vari reati fra cui truffa e tentato omicidio ai danni di un’infermiera conosciuta durante il periodo di servizio civile obbligatorio in un ospedale e di cui se ne era innamorato ma non ricambiato. Inoltre si trovò a pagare 100.000 dollari alle autorità finlandesi come rimborso spese per l’inutile missione di soccorso causata dal suo comportamento.Attualmente l’aereo usato nell’impresa si trova nell’hangar di un uomo d’affari Giapponese, che lo tiene con cura maniacale in attesa che…il suo valore aumenti e possa così venderlo a un prezzo maggiore!!Per questo articolo mi sono basato sul libro di Paolo Gianvanni “Le battaglie aeree della Guerra Fredda” ed. Mursia, e una voce wikipedia consultabile all’indirizzo
http://it.wikipedia.org/wiki/Mathias_Rust#Nel_cuore_della_Russia

Esattamente un anno fa (le coincidenze della vita!) scrissi un articolo dal titolo un po’ di filosofia modellistica, che trovate su queste righe nella sezione “riflessioni e altro”. Ora volevo approfondire un paio di temi, qualcosa che secondo me nel modellismo ancora non va e che sta facendo di esso un arte da salòn, come già avevo auspicato che esso non divenisse.

Innanzitutto, una considerazione la meritano i modellisti cosiddetti “contarivetti”, ovvero quelli che sono pronti a stroncare un modello per un millimetro in più o in meno, per un rivetto di troppo, o altre simili cavolate. Premesso che ognuno è libero di divertirsi come meglio gli aggrada, e che non ho la pretesa di essere l’unico ad aver ragione in un mondo che ha torto, restano un paio di riflessioni da fare su questo punto. La prima riguarda la fruizione die miei modelli. Oltre al modellista e agli altri modellisti che eventualmente osservano il modello a una mostra, il resto delle persone che vedono un modello (possono essere i frequentatori occasionali di una mostra, i curiosi. gli amici o i familiari) e che costituiscono la maggioranza del pubblico fruente, poco o nulla sanno di cosa il nostro modello rappresenta, se non circoscritto nelle generiche categorie di aerei, mezzi militari, navi etc.; da ciò ne deriva che ancora meno sanno del fatto che la fusoliera di un Su-27 in 1/72 -a titolo di esempio- è più corta di mezzo millimetro rispetto alla corretta riduzione i scala, come attestato dai disegni. Sempre che, e questo spesso è un qualcosa che non viene tenuto conto, gli stessi disegni non siano errati! In conclusione, un lavoro di pittura ben fatto e ben curato, la cura dell’effetto scenico (a discrezione di ognuno di noi e della sua coscienza di modellista che gli indicherà i paletti entro cui stare) colpirà molto di più lo spettatore medio (che ripeto, anche a costo di essere noioso), che non la lunga trafila di modifiche fatta per portare il modello alla esatta scala, che molto spesso suscita nell’interlocutore il classico interrogativo se non avesse null’altro di meglio da fare. Nel loro pragmatismo, gli inglesi affermano che se assomiglia a un’oca, starnazza come un’oca e cammina come un’oca, allora ci saranno grandi possibilità che essa sia proprio un’oca! Che rapportato al modellismo sta a significare che nel momento in cui un kit assomiglia a un F-16, allora ci saranno grandi possibilità che esso sia un F-16!

Un secondo fattore che secondo me ha portato alla degenerazione del modellismo è l’invasione ormai incontrollata dei prodotti così detti aftermarket e della corsa sconsiderata ad essi, da parte di modellisti che, ancor prima di aver sottomano la scatola, si fiondano ad acquistare resine fotoincisioni spesso in maniera indiscriminata e talvolta inutile. Ma qui è necessario fare una piccola precisazione, perché a differenza del contarivettismo, l’uso di set di dettaglio trova ampie giustificazioni, e io stesso non ne faccio mistero di averne fatto uso. ma Veniamo a noi. Una giustificazione è data dalla scala: più una scala è grossa, più essa avrà bisogno di dettagli; quindi è vero e inconfutabile che, almeno che non si voglia fare un giocattolo, quando si lavora in 1/32 o superiori non si può prescindere da resine e soci. Già in 1/48 si può scegliere se usarli o meno e in entrambi i casi non è un delitto, essi diventano del tutto inutili nella scala 1/72, dove le dimensioni ridotte dei modelli rendono vano oltre che più faticoso un lavoro di dettaglio portato all’estremo.

Terzo punto: la coscienza del modellista. Ogni uomo, prima che ancora ogni modellista, ha una propria coscienza, che gli suggerisce cosa è giusto o non giusto fare. E sarà proprio quella vocina interna a guidarci nella costruzione del modello. Ma il punto è questo: la nostra coscienza dorme tranquilla? Io personalmente, sempre in ossequio a quanto affermato nel primo punto circa il pubblico fruente dei nostri modelli, non mi faccio problemi ad accettare quei compromessi che il dover rappresentare la realtà impone (avevo già distinto nel precedente articolo la riproduzione dalla rappresentazione), e la mia coscienza dorme tranquilla. Ed è per questo che esalto una tipologia di modellismo, tanto cara agli inglesi e americani, che giustamente tengono fede al loro motto che la vita è divertimento: è quella del what if… in cui ognuno di noi per un attimo abbandona paranoie da federo standard e altri tecnicismi da modellista professionale, per lasciar correre la propria fantasia. Voglio fare un Tomcat con insegne italiane anche se non ha mai volato con l’AMI? Perché no? Chi me lo vieta? Ho comunque raggiunto lo scopo del mio modellare, ovvero divertirmi, e questo significa aver speso bene i propri soldi e il proprio tempo!

Questa è la mia personale ricetta del fare modellismo, e come tale, perfettamente discutibile e fallibile. Dopotutto, non sono stato io a dire per primo che ognuno ha una propria coscienza e una propria concezione di divertimento??

 

I MiG-19 e i disertori cinesi

Pubblicato: 09/01/2011 in Storia

Un capitolo a mio modo di vedere molto interessante della Storia dell’aviazione ai tempi della Guerra Fredda, e della contrapposizione fra i due blocchi, vi è quello dei tentativi di diserzione e di fuga dal duro regime della Cina Comunista.
Le prime notizie in tal senso risalgono al 1960, quando il 12 gennaio Yang Decai, un pilota della PLANAF (Aviazione di marina della Forza di liberazione popolare Cinese) cercò di disertare a bordo del suo MiG-15, ma il tentativo si risolse in modo drammatico per il povero pilota, dal momento che si schiantò in atterraggio e perse la vita. Altri furono più fortunati e riuscirono ad atterrare nella vicina Taiwan, entrare nella locale aeronautica e servirla con onore, finendo poi congedati con lauta pensione.
Decisamente però mezzi come il Mig-15 o i bombardieri Ilyushin Beagle, erano de lutto inadeguati per tentare una fuga, e infatti molti finirono abbattuti. una nuova ondata di diserzioni, o perlomeno di tentativi, si ebbe con l’ingresso in servizio nella PLAAF della versione costruita su licenza del MiG-19, lo Shenyang J-6. Ed è proprio di questo che voglio parlare in questo articolo! Furono 6 i casi di defezione compiuti con tali aerei, almeno stando a quanto scritto da Yefim Gordon nella sua monografia sul Farmer, pubblicata nella collana “Aerofax”: il primo fu, il 7 luglio 1977, il tenente colonnello Fan Yuan-Yen che atterrò a Taiwan. Ad esso fecero seguito le defezioni di Wu Jung Chien (1982), che posò le ruote del suo J-6 codice 3220 rosso su una base vicino a Seul, in Corea del Sud, come del resto i sud Corea atterrò anche il 26enne Chen Pao-Chung con il suo 3280 rosso. Decisamente sfortunato fu nel suo tentativo Wang Bo-yu, che nel 1990 atterrò alla base aerea sovietica di Knevichi, sperando di trovare rifugio sicuro, spinto forse anche dal recente clima di disgelo impostato dalla Perestroika di Gorbacev: purtroppo per lui non fu così, perché cinque giorni dopo il suo arrivo, l’aereo fu restituito ai legittimi proprietari, mentre il pilota fu riconsegnato alle autorità cinesi. Non è difficile immaginare la fine che ha fatto: infatti esso fu condannato a morte. .
Per cercare di scoraggiare questi tentativi, il governo cinese corse ai ripari, installando una serie di batterie di missili e cannoni antiaerei su quelle che erano ritenute le principali vie di fuga (costa sud-orientale della Cina, il Mar Giallo e lo stretto di Formosa) e formando uno squadron di Shenyang F-6 con il preciso compito di intercettare e abbattere i disertori: infatti nel maggio del 1983 ci fu uno scontro fra J-6 che si concluse con l’abbattimento del disertore. Interessante poi è che questi Shenyang “cattivi” furono dotati di una mimetica, per permettere alle batterie a terra di distinguerli di primo acchito dai “normali” J-6 che invece venivano lasciati in metallo naturale. Stando sempre alla monografia di Gordon, questi aerei avevano una mimetica a strisce in verde/marrone oppure sabbia/marrone, anche le scarse fotografie a mia disposizione, sembrano confermare il solo verde/marrone, mentre il profilo pubblicato da Americo Maia, che ritrae appunto un aereo con colorazione in sabbia/marrone pare essere un esemplare da museo o frutto di fantasia o errata interpretazione di fotografie.
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<b>tutte le foto inserite in questo articolo sono solo per scopo di discussione!!! </b>
Le fonti su cui mi sono basato sono il già citato libro di Yefim Gordon sul MiG-19, edito nella collana Aerofax, e una voce su wikipedia circa le defezioni dei piloti durante la Guerra Fredda, consultabile all’indirizzohttp://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Cold_War_pilot_defections
Da ultimo mi sono servito anche di un articolo modellistico a tema proprio uno di questi Shenyang “cattivi” pubblicato dall’ottimo Gianni Cassi sul numero 30 di Sky Model.

Lo ammetto, sono diventato un MiG-maniaco! Ma d’altronde, da quando ho scoperto che fare aerei con mimetica un filo più complesse del solito e noioso monogrigio tipico degli aerei occidentali non solo non è difficile come credevo ma è pure parecchio divertente (perché autolimitarsi nella vita?), quale soggetto migliore del Fishbed per arricchire la mia collezione di un soggetto originale e dare un tocco di colore?
Il MiG-21 ha avuto numerose versioni ed è stato esportato in tutto il mondo: nell’Europa orientale, in Africa, in Centro e Sud America, in Medioriente, nel sub-continente Indiano e nel Sud-est asiatico; ed è stato protagonista di quasi tutti i conflitti che si sono combattuti negli ultimi quaranta anni. Ha dato filo da torcere agli americani sui cieli del Vietnam, ha incrinato il mito del 104 nei cieli Indiani, ha preso sonore mazzate dai Mirage e dagli Eagle israeliani sui cieli del Medioriente, ha combattuto nel montagnoso Afghanistan con l’aviazione sovietica. Insomma, il modellista non ha che l’imbarazzo della scelta.
Quanto a me ho puntato su un esemplare cubano: non appena ho visto presso il mio negoziante le decals Aztec e la correzione in resina Quickboost per la versione MF, non ci ho pensato su due volte: presi al volo!
Era da un po’ che mi ronzava in testa l’idea di aggiungere alla mia collezione un aereo cubano: mi è sempre piaciuta la mimetica in azzurro turchese e verde tipica degli aerei dell’aviazione Castrista e finalmente questa idea si è tramutata in realtà.

Il kit Fujimi

Tempo fa la Fujimi produsse una serie di MiG-21 molto bella, anche se non priva di errori. Ad oggi purtroppo questi modelli sono difficilmente reperibili, e purtroppo per chi si dedica – per passione o per obbligo come nel mio caso – alla scala più piccola, non esiste una valida alternativa a obsoleti kit di origine cecoslovacca!
Comunque il kit Fujimi si compone di una settantina di pezzi in plastica grigia, a cui si devono aggiungere una decina in ottima plastica trasparente: hud, luci di atterraggio, cruscotto e tettuccio in due parti.
Il kit presenta fini incisioni in negativo ed il dettaglio è complessivamente buono, eccezion fatta per l’abitacolo, o meglio per il sedile che poco ha a che fare con il KM-1 di cui era dotato il nostro Fishbed! Le decals sono per esemplari finlandesi a due toni di verde su grigio e per degli anonimi esemplari sovietici in metallo naturale. La scatola si riferisce alla versione Bis.

Montaggio

Uno spasso! Senza stare qui a tediarvi dicendo come si incollano le ali e come si stucca, elenco brevemente i lavori da me fatti nei punti “strategici”. Cominciando dal cockpit, ho provveduto a cestinare quella sottospecie di seggiolino fornito dal kit e sostituirlo con un pezzo della Pavla.
L’annosa questione del verde “ospedale” tipico dell’interno del Fishbed è stata risolta in modo draconiano dal sottoscritto: H46 verde smeraldo Gunze, nudo e crudo. Troppo verde? Troppo brillante? Può darsi, la mia è solo un’interpretazione. Mi piace, e questo sia sufficiente!

Il seggiolino è invece grigio (FS 36375, H308 Gunze), con imbottitura in marrone e cinture in azure-blue. Piccola precisazione: tecnicamente le cinture sarebbero di un grigio più scuro rispetto a quello di base del sedile, ma essendo il pezzo molto piccolo ho preferito per dare un contrasto netto, accentuato da un passaggio di colore bianco molto diluito.
Come detto, il montaggio fila via liscio come l’olio, senza bisogno di stucco se non nella giunzione ala-fusoliera ma nulla di traumatico.
Prima di chiudere le fusoliere ricordarsi di: appesantire adeguatamente il muso altrimenti il vostro MiG si siederà inesorabilmente sulla coda; dipingere e installare il cono radar (H302 Gunze) e verniciare in alluminio l’interno delle prese d’aria; assemblare e installare il cono di scarico. Questo è verde (H303 Gunze) al suo interno!
Come detto in fase di presentazione del modello, la scatola in mio possesso si riferisce alla versione Bis, mentre l’esemplare da me riprodotto è un MF. In realtà, errore grosso da parte di Fujimi ironicamente replicato da Academy in 1/48, anche le scatole dedicate dalla ditta nippon alla versione MF sono in realtà dei Bis, dal momento che la tipica gobba ventrale inclusa nelle scatole si riferisce proprio a questa variante.
Ma per fortuna in Cechia vogliono molto bene a noi modellisti e dalla Quickboost ecco una bella dorsal spine completa di deriva corretta: è sufficiente liberarla dalla materozza di stampaggio e installarla sul nostro modello usando per l’incollaggio la colla bi componente: questa rispetto alla normale Attack ha il pregio di un’asciugatura lenta (circa 5 minuti) permettendo di trovare il giusto allineamento. Una volta asciutta si carteggia per eliminare l’eccesso di colla, si stucca dove si deve e il gioco è fatto!
Et voilà, il nostro Fishbed prende forma e in men che non si dica è già arrivata l’ora di mettere mano all’aeropenna e colorare.

Colorazione

Fra tutte le livree portate dai Fishbed, quella cubana è sicuramente una della più vistose e appariscenti, nonché una delle più originali. Il foglio della Aztec “Latin Eagles part II” offre la possibilità di scegliere fra un esemplare con livrea turchese/verde su grigio oppure una versione più recente basata su due toni di grigio e un azzurro. Ovviamente la scelta non poteva che cadere sulla prima versione e subito la mia testolina di modellista si è messa al lavoro per cercare un’idea su come riprodurre quell’inconsueto color puffo.
Alla fine ho usato l’azzurro H323 della Gunze corretto con alcune gocce di blu X4 Tamiya, il tutto facendo affidamento…alla mia buona stella e al fattore C che credo non debba mancare nemmeno nel modellismo!
Per il verde, malgrado le istruzioni suggerissero un verde abbastanza chiaro e brillante, le foto mi hanno portato a scegliere un verde olivastro, per cui ho usato l’H304 Gunze. Per il grigio delle superfici inferiori ho usato invece l’H338. Tutti i colori sono stati abbondantemente diluiti con comune alcool rosa, sostituito nel caso del grigio da…Vodka!! Essa infatti, oltre a rendere più allegro il vostro modellista, ha il pregio di essere incolore e quindi di non dare una tonalità rosata ai colori molto chiari. Provare per credere. Ma mi raccomando, la vodka bevetela con moderazione!
La demarcazione fra il turchese e il verde è stata ottenuta ricorrendo al provvidenziale Patafix, mentre lo scotch Tamiya ha coperto le zone che non andavano verniciate.
Terminata la posa dei colori, ho schiarito il centro di ogni pannello con il colore di base ancora più diluito a cui ho aggiunto un paio di gocce di bianco opaco, quindi una bella mano di Future ha preparato il modello alla successiva fase di posa decals e lavaggio nonché gli ha conferito quel gradevole e tipico aroma fruttato (a voi dipanare la scottante matassa: fragola o pesca??).
Applicate le decals -nella spaventosa quantità di sei!-, ho provveduto a fare un lavaggio coi colori a olio usando del nero che ha dato profondità al mio modello. Un’altra mano di Future e una passata di trasparente opaco Lifecolor hanno completato questa fase.

Ultimi tocchi

Ora non resta che il montaggio di quei piccoli particolari che data la loro fragilità vanno montati alla fine: carrelli e portelli vari (dipinti in Grigio 36375), tettuccio in posizione aperta, sonde e pitot. Qualche tocco di vernice qua e là ed il modello è pronto per la vetrina.
In conclusione un modello semplice e di sicuro effetto, che vi permette di aggiungere alla vostra collezione un soggetto originale e accattivante, che sicuramente non passerà inosservato. Figurarsi nella mia vetrina dominata dalla cromia grigia degli aerei moderni occidentali!
Inoltre quello degli aerei esotici è un filone che credo non abbandonerò: pronti al decollo ci sono un bell’Hunter Rhodesiano e un F-16 Venezuelano. Come dite? Meglio non correre troppo? Vero, meglio non correre troppo!

Buon modellismo
Alessandro Gennari

Jaguar 001

CENNI STORICI

Il Jaguar nasce negli anni ’60 come programma congiunto anglo-francese: alla base c’era una specifica tutta inglese per un addestratore supersonico che andasse a prendere il posto del vetusto Folland Gnat, e da una specifica Francese che richiedeva un aereo che potesse essere usato sia come aereo da addestramento sia come caccia-bombardiere leggero. Successivamente ci furono alcuni cambi di programma e il progetto per un addestratore portò in Francia alla costruzione dell’Alpha Jet, mentre in Inghilterra nacque il BAe Hawk; allo stesso tempo cambiarono le specifiche tanto da parte della RAF, che cercava un aereo che prendesse il posto dell’inadeguato Phantom nel compito dell’appoggio tattico, mentre in Francia si cominciò a pensare a un aereo imbarcato che potesse sostituire gli Etendard sulle portaerei dell’Aeronavale.

Dall’unione di forze fra Bréguet (poi Dassault) e BAC (poi BAe) nacque il consorzio SEPECAT, che così si suddivise i compiti relativi alla produzione: in Gran Bretagna venivano prodotte le ali, le prese d’aria, il tronco posteriore della fusoliera e gli impennaggi, mentre tutte le rimanenti parti della cellula vennero prodotte in Francia. L’assemblaggio finale veniva curato in entrambi i paesi, a seconda delle specifiche esigenze. In totale furono costruiti 588 esemplari e l’aereo venne adottato, oltre che  dai paesi sviluppatori, anche da India, Oman ed Ecuador.

Per quanto riguarda l’impiego operativo, tanto i Jaguar di Sua Maestà quanto quelli francesi ebbero modo di dimostrare il loro valore in numerosi teatri operativi: nel Golfo Persico, sui Balcani ma anche – gli esemplari francesi- in Africa: essi furono impegnati in alcuni scontri nel Sahara Occidentale, in Ciad e in Ruanda.

Sia in Francia che in Gran Bretagna i velivoli sono stati radiati: nel 2005 in Francia e nel 2007 dalla RAFJaguar 002

NOTE MODELLISTICHE

Il Jaguar è un soggetto fortunatamente ben considerato dalle case modellistiche, soprattutto in 1/72 dove l’Italeri ha coperto tutte le versioni, sia mono che biposto tanto con livree  francesi che inglesi. In 1/48 la connection anglo-francese Airfix-Heller ha sfornato dei kit buoni ma non eccelsi: Gr.1 per l’Airfix e ovviamente la versione francese per la Heller.
Già che siamo in tema, le differenze principali fra gli esemplari francesi e quelli inglesi stanno innanzitutto nell’armamento di lancio: due cannoni DEFA da 30mm per gli esemplari Armée de l’Air, due cannoni Aden, anch’essi da 30mm per gli esemplari RAF. L’altra differenza sta nel muso, dal momento che le versioni Gr.1 e seguenti montano un telemetro laser, che le macchine francesi non hanno. Da ultimo la versione inglesi si caratterizza per due alette RWR (Radar Warning Receiver) montate sulla deriva, in maniera del tutto analoga al Tornado Gr.1.
Detto questo, per il mio modello ho scelto la scatola Italeri, recentemente riedita anche dalla Revell con nuove decals, caratterizzata dal numero di catalogo 063. All’interno della piccola scatola ad apertura laterale troviamo due stampate color sabbia – questo nel sempre biasimevole tentativo di venire incontro a quelli che il modello preferiscono non verniciarlo- e una piccola di trasparenti per un totale di circa una settantina di pezzi. Purtroppo i pezzi non sono incellophanati, anche se il mio corrispondente inglese che mi ha venduto il kit ha sagacemente imbustato a parte i trasparenti che così si sono salvati da graffi e danni vari!Jaguar 003

Un piccolo foglio decal fornisce le insegne necessarie per due esemplari: il primo in livrea desertica, ornato da una simpatica nose-art in cui un Saddam Hussein decisamente caricaturale viene preso a calcioni nel deretano da uno stivale coi colori della Union Jack. Il secondo è un esemplare nella classica livrea mimetica Dark Green/Dark Sea Grey, che in alternativa può essere rappresentato anche in livrea invernale con una copertura di bianco.

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MONTAGGIO

Per evitare il solito noioso incipit del tipo: il montaggio è iniziato dal cockpit, questa volta ho deciso che inizierò…dall’assemblaggio del troncone posteriore di fusoliere, lasciato giustamente staccato dal muso in previsione della realizzazione della variante francese e di quelle biposto. La giunzione dei tre pezzi che compongono questa sezione non comporta particolari problemi, anche se richiede qualche stuccatura lungo le giunzioni. Nulla di drammatico comunque.

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L’ala è in un sol pezzo e si incastra bene nel suo alloggiamento, anche qui con l’aiuto del solito amico stucco: apro una parentesi per parlare di stucchi. Io ne uso due tipi: quello classico della Tamiya, perfetto per le piccole fessure, mentre in caso di voragini e/o di scalini uso quello bianco della Gunze, che d’ora in poi, per evitare giri di parole chiamerò “lo stucco gommoso”!  
Cercate di capirmi, credo che sulla piazza di modellisti (e non solo nel modellismo) pigri come me ce ne siano ben pochi! Forse non un record di cui andare fieri, ma pur sempre un record!
In questo caso, tornando al Jaguar, per la giunzione ala/fusoliera ho usato lo stucco gommoso. Una volta che ho montato la fusoliera e nell’attesa che lo stucco si asciugasse, ho rivolto le mie attenzioni al cockpit.
Pannello strumenti e consolles laterali sono in rilievo e il seggiolino ha già le cinture stampate in rilievo: niente di stratosferico, però vista la scala e il fatto che tutto andrà dipinto in nero, ci si può accontentare. Una bella passata di nero H-77 Gunze, un drybrush con grigio chiaro e siamo a posto. Stesso discorso per il sedile, tutto nero con il cuscino in verde (ho usato il US Marine Green della Agama) e le cinture in marroncino chiaro.
Prima di chiudere le fusoliere ho dipinto le pareti del vano carrello e lo stesso vano anteriore in Zinch Chromate, così come del resto anche i vani carrelli principali e i vani aerofreni. Per lo Zinch, ottimo l’Humbrol 81.
Qualche problemino lo danno le prese d’aria, ma anche qui l’intervento del nostro amico stucco gommoso risolverà ogni problema! L’interno l’ho dipinto con grigio chiaro H-308 Gunze, come del resto le gambe del carrello e i cerchi delle ruote! Ecco perché amo il Jaguar: non bisogna usare lo stramaledettissimo bianco lucido!!!

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COLORAZIONE

Malgrado il mio corrispondente inglese che mi ha venduto il kit mi abbia gentilmente omaggiato di un magnifico foglio Xtradecals che permette di realizzare svariati Jag in livrea Nato, fin da subito la mia idea è stata quella di fare un aereo in livrea desertica, colorato con il celebre Desert Pink. Si tratta di una vernice di tipo ARTF (Alcaline Removable Temporary Finish), ovvero di una vernice lavabile al rientro in patria. Questo comportava ovviamente che gli aerei si presentassero decisamente sporchi e con livrea usurata.
Bene, spiegato cosa è il Desert Pink, il problema che si pone è quella della sua realizzazione: infatti a parte l’Xtracolor a smalto, non esiste alcuna ditta che abbia in catalogo suddetto colore (molto simile e usabile è il 250 Humbrol), tanto meno questo colore compare nella gamma dei miei adorati Gunze. Che fare? La soluzione è semplice si prende come base il Flesh (color carne) H-44, un po’ di H-47 Red Brown, qualche goccia di bianco, buon occhio e un’ottima dotazione di… lato B!!! Ecco la mia ricetta per il Desert Pink!  E devo dire che in questo caso il fattore C ha fatto si che trovassi una buona corrispondenza con il colore reale!
Bene, una volta data la mano di base, con lo stesso colore ancora più diluito e schiarito con bianco si opera il post-shading quindi la solita mano di Future a lucidare il tutto.
Per quanto riguarda l’esemplare scelto, fin dall’inizio la mai scelta era caduta sull’esemplare desertico e il Saddam preso a calci avrebbe sicuramente fatto capolino sul muso del Jaguar se non fosse che in un negozio di Milano che tiene molti vecchi fogli decals, mi sono imbattuto in un foglio della Almark dedicato agli aerei RAF impegnati nella Desert Storm. Fra i vari soggetti, Tornado, Jaguar e Buccaneer, vi era un Jaguar con una particolarissima nose art: vi era dipinto un omino stilizzato che sappiamo dalla scritta chiamarsi Buster Gonad, il quale è dotato di… attributi decisamente grossi, tanto da doversi servire di una carriola su cui appoggiarli!! Certo non il massimo del politically correct, ma come fare a resistere?

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Le decals Almark sono buone anche se stampate su film unico e quindi è necessario scontornarle: purtroppo questo aspetto è poco indicato dalle istruzioni e quindi la nose art risulta contornata da un bel po’ di pellicola, per fortuna la Future sotto evita ogni brutta sorpresa!
Messe le poche decals, il modello ha ricevuto un ‘«inzozzatura» con olio nero e gessetti: non abbiate paura di esagerare, i Jaguar operativi nel deserto erano la quintessenza dell’aereo poco pulito!!
Una mano sigillante di Future e la finale passata di trasparente opaco Lifecolor hanno completato la mia opera!
Ora non mi resta che mettere il mio piccolo Jaguar in vetrina accanto al Dakota e al Tornado, così un altro pezzo si va ad aggiungere alla mia forza aerea in miniatura!!

Buon modellismo
Alessandro Gennari

Dakota 001

UN PO’ DI STORIA

Derivato militare del leggendario DC-3 della Douglas, il C-47 si è guadagnato a buon diritto un posto nella storia dell’aviazione militare e non solo. Costruito in oltre 10.000 esemplari, esso è stato protagonista di tutte le operazioni più importanti del secondo conflitto mondiale, dallo sbarco in Normandia alle sanguinose battaglie sulle isolette del pacifico, che gli USA dovettero riconquistare una per una a prezzo di gravi perdite umane e di materiali. Durante il conflitto essi servirono principalmente con le insegne americane e britanniche, e furono usati in svariati ruoli: lancio di paracadutisti come mansione principale, ma anche traino alianti (alcuni Dakota furono essi stessi usati come alianti date le ottime caratteristiche di planata) e per il lancio di viveri e materiali durante il drammatico accerchiamento di Bastogne, nelle Ardenne, avvenuto nel 1944 durante l’ultimo colpo di coda tedesco. Alcuni C-47 furono protagonisti di episodi sfortunati ,su tutti quello avvenuto in Normandia durante le prime fasi concitate dello sbarco, dove numerosi aerei furono abbattuti dai troppo nervosi serventi della contraerea americana.
Terminata la guerra non è ancora tempo di riposo per il nostro Skytrain: infatti esso è impegnato nel ponte aereo di Berlino, per aiutare la popolazione della città posta sotto blocco dai sovietici. In quei convulsi giorni, il nostro buffo bimotore tornò in azione trasportando e sganciando sulla città tonnellate di viveri, carbone, medicinali e pacchetti di caramelle per i bambini. Nelle intenzioni dei comandi alleati c’era anche quello di paracadutare sula città un cucciolo di cammello, chiamato Clarence, da dare al locale zoo, ma purtroppo l’animale morì pochi giorni prima. Designato per il trasporto dell’inconsueto carico era nemmeno a dirlo, il nostro C-47, che infatti portava una sagoma di un cammello disegnata in fusoliera.
Entrò in azione anche coi colori israeliani nella guerra di indipendenza, e di nuovo sotto l’USAF come gunship in Vietnam, suscitando un terrore sacro nei Vietcong che se lo vedevano ronzare sulla testa…
E’ stato inoltre la star di alcuni film: chi non ricorda «Più forte ragazzi» con Bud Spencer e Terence Hill, dove si vedeva il nostro eroe a due eliche vestire un’improbabile e logora livrea rosa??
Da ultimo, se ci volesse anche questa di prova per confermare l’importanza del Dakota in seno all’aviazione, si possono trovare tracce nei fumetti Disney, dove spesse volte Paperon De’ Paperoni parte per le sue avventure a bordo di uno scalcinato bimotore le cui forme sono ispirate al C-47!
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NOTE MODELLISTICHE

Ovviamente un soggetto così famoso non poteva sfuggire alle case modellistiche, e in molti si sono cimentate nella produzione del kit: in 1/48 ci sono i vecchi Monogram (bellissimi e per me dovermene liberare per poco spazio è stato un colpo al cuore!) e il più recente Trumpeter, magnificamente dettagliato e inciso in negativo, ma troppo freddo!! Il Monogram è sempre il Monogram!! Certo, va reinciso e non è affare da poco, ma trasmette tutt’altra emozione rispetto al kit cinese!
In 72 ci sono i kit Italeri, Esci e Airfix. Per il mio modello la scelta è caduta sul kit Italeri, che fra la comunità dei modellisti è un mito quasi se non più dell’aereo vero! Aprendo la scatola che riporta un C-47 americano con tanto di Invasion Stripes, troviamo due stampate in verde oliva più una trasparente per un totale di un’ottantina di pezzi. Le incisioni sono in fine negativo e i trasparenti molto limpidi. A completare la confezione un foglio decals minimale per due esemplari in Olive Drab su Neutral Grey. Uno americano e uno inglese, entrambi veterani del D-Day. Io ho deciso un back date e farlo senza strisce, ma ne riparleremo a tempo debito!

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MONTAGGIO

Anche qui come del resto per tutti gli aerei del mondo, il montaggio inizia dal cockpit. Chissà mai un giorno proverò a montare un aereo al contrario per vedere di nascosto l’effetto che fa…
Ok scusatemi, i troppi bicchieri per dimenticare le mie pene d’amore si fanno sentire!
Dicevo il montaggio comincia dal cockpit, per il quale la casa italiana fornisce: un pianale con già stampate le panche dei paracadutisti, i seggiolini, le paratie di divisione, i volantini e il pannello strumenti. Il colore di base è l’Interior Green H-58 Gunze, mentre le cloche e il pannello sono in nero opaco. Essendo sprovvisto del mio fedele H-77 Gunze, ho ripiegato sull’XF-1  Tamiya. Non sono stato molto a impazzire sull’interno e il dettaglio, dato che poi nulla resterà visibile. Ricordiamoci di mettere i finestrini prima di chiudere le fusoliere, e soprattutto il portello di ingresso: io non ho fatto quest’ultima operazione e mi sono trovato fregato. Per fortuna che alcune foto mostrano il portellino in questione rimosso e così mi sono salvato in corner con una parata alla Buffon!!!
Resta visibile però la carenza di dettaglio, ma fa nulla: alla fine è comunque un anfratto buio e poco visibile.
Una volta chiuse le fusoliere, il montaggio procede spedito e senza intoppi, con l’uso dello stucco necessario come al solito nei punti topici, ma nulla di tragico. Non dimentichiamo che è un kit che quasi trent’anni se non di più sul groppone.
Meravigliosi a mia opinione i motori, con la doppia stella: per valorizzarli al meglio, dapprima ho dato una mano di nero  opaco, e poi ho fatto una serie di drybrush usando il polished alluminium Humbrol della serie Metal Cote e il metallo bruciato della Model Master. L’interno delle cappottature motore va in Zinc Chromate Yellow per cui ho usato l’apposito colore della Lifecolor. La giunzione delle due parti che compongono le cappottature necessitano di un filo di stucco, ma nulla di drammatico. Una volta fissate le ali alla fusoliera (anche qui una stuccatina risolverà tutto) e le cappottature alle ali, il nostro modello è pronto per essere inviato al reparto verniciatura.
Prima ho montato e mascherato il parabrezza, punto questo che mi ha creato non pochi problemi: l’incastro è abbastanza sommario e inoltre il pezzettino trasparente mi si è rotto mentre rimuovevo il Maskol costringendomi a un delicato intervento di ricostruzione.Dakota 005

COLORAZIONE

Come mio solito mi sono affidato agli acrilici Gunze: i Dakota inglesi verniciati nella classica livrea verde su grigio mantenevano i colori originali americani, motivo per cui ho usato il Neutral Grey H-53 e il verde oliva H-52. Come mio solito ho diluito i colori all’inverosimile, usando del comune alcool rosa e riempiendo i barattolini con 3 piombini da pesca. Ero scettico su questo metodo, ma da quando l’ho provato mi trovo benissimo! Come detto in fase di presentazione, tanto il soggetto americano quanto quello britannico offerti dalle decals Italeri sono ambientati ai tempi del D-Day, ma si sa che la pigrizia mia è atavica e quindi…niente strisce di invasione, non avevo voglia di stare lì a lavorare di mascheratura e con un colore “bastardo” come il bianco!
Ovviamente, vista la mia passione per tutto ciò che vola con le coccarde della RAF britannica, la mia scelta non poteva che ricadere su un Dakota in servizio per sua Maestà la regina!
Questa volta ho messo le decals prima di passare al lavaggio con olio, posa delle decals preceduta da post-shading (verde oliva schiarito con giallo e poi bianco, ulteriormente diluito con alcol) e dalla solita mano di future che lascia l’aereo bello lucido e con il gradevole profumo della pesca!! Occhio soltanto a non farvi venire la tentazione di mangiarlo…potrebbe essere indigesto!!!
Ok, detta la mia scemata quotidiana, torniamo al modello: terminata la posa delle decals e i lavaggi, un’altra mano di Future ha sigillato il tutto, prima della passata definitiva di trasparente opaco, l’ottimo Lifecolor.
Ora il nostro Dakota è pronto a entrare nella vetrina!!

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CONCLUSIONI

Un onesto e simpatico kit per un mitico protagonista della storia dell’aviazione mondiale, un soggetto che non deve mancare nella bacheca di qualsiasi appassionato e che da la possibilità di creare un’infinità di soggetti dai classici americani a quelli più originali. Per me è stato un montaggio divertente e un impatto morbido con la 1/72, scala a cui, mio malgrado, sono stato costretto  a scendere. In più ho potuto aggiungere un altro tassello alla mia collezione di aerei britannici!

Buon modellismo
Alessandro Gennari

 

Ebbene si, ora è ufficiale. Cambio scala. Dalla 1/48 scendo alla 1/72. È stata una scelta ponderata e sofferta, molto sofferta, ma alla fine si è dimostrata la migliore per il proseguo della mia carriera di modellista. I motivi che mi hanno spinto a questa scelta, sono innanzitutto da ricercarsi nella praticità. Essendo io appassionato di aerei moderni, questi in 1/48 hanno davvero dimensioni ragguardevoli e lo spazio in casa mia non è mai stato tanto. Solo che me ne sono reso conto troppo tardi, dopo che pervicacemente ho continuato a ignorare i consigli di chi mi stava attorno e che mi diceva di non prenderli così grossi perché poi avrei avuto difficoltà nel metterli una volta finiti. Un’altra ragione è che la scala si confà maggiormente alla mia idea di modellismo, fatta in maniera pragmatica preferendo la quantità alla qualità (questo ovviamente non vuol dire che i modelli li faccia male o senza cure, sia ben chiaro), i progetti semplici a quelli complessi, la vetrina piena piuttosto che l’armadio pieno di scatole. I modelli in 1/48 sono complessi e portano via un sacco di tempo e perdonano meno certe semplificazioni ed errori o omessi dettagli! Non sono uno che cerca a ogni costo la gloria nei concorsi e sono il primo a credere che il modellismo deve essere divertimento e soprattutto (e per questo si veda l’articolo sulla FILOSOFIA MODELLISTICA già pubblicato su queste colonne) è solo un compromesso fra la realtà e la sua riproduzione. I modelli in 1/48 stavano cominciando a diventare troppo lunghi e impegnativi e si accumulavano nell’armadio a ritmo serrato, invece la 72 mi darà modo di tornare indietro ai primi anni del modellismo, quando prendevo la scatola, in un paio di giorni la mettevo su e poi di filata al negozio a prenderne un’altra! Insomma tornare a respirare il profumo del modellismo di un tempo, quando il divertimento prendeva il sopravvento su ogni cosa! Bene, ora non mi resta che lanciarmi nella mia nuova avventura!

Mig 011MiG-21 sta a Unione Sovietica come il Phantom sta all’Occidente. Questa è la semplice proporzione matematica che regolava la guerra fredda e ben conosciuta da tutti gli appassionati di quel periodo.
L’argomento MiG-21 è così vasto e così vastamente documentato che non ho né il tempo, né lo spazio né la voglia (sono pigro, non vogliatemene!) per approfondirlo!
Basti solo dire che esso fu impiegato su tutti i fronti e in tutti i conflitti che hanno insanguinato il nostro pianeta negli ultimi cinquant’anni, da quelli più noti (Vietnam e Afghanistan) a quelli passati sotto silenzio nelle parti più sperdute del globo. Nelle mani dei tenaci piloti Vietnamiti si dimostrò un avversario più che valido per gli americani e non erano rari i casi in cui erano proprio gli spocchiosi Yankees a uscire con le ossa rotte e appesi a un paracadute! Phantom ed F-105 furono tra le vittime predilette dei Fishbed comunisti. E nemmeno il mitico Spillone ebbe vita facile contro i MiG: chiedere ai piloti pakistani suonati a dovere dai Fishbed indiani!
Meno bene per il nostro piccolo eroe andarono nel teatro medio – orientale. Negli scontri contro gli aerei israeliani, superiori in tecnologia ma anche pilotati da uomini addestratissimi e determinati a combattere per la sopravvivenza del proprio Stato, i MiG-21 furono nettamente surclassati. Se già l’avvento dei Mirage III rappresentò un grosso problema, l’arrivo dei più moderni F-15 ed F-16 significò la fine: durante gli scontri sulla Bekaa nel 1982 i MiG arabi furono annientati senza che riuscissero nemmeno a sfiorare un aereo nemico.

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NOTE MODELLISTICHE

Da sempre convinto assertore del fatto che gli aerei con mimetiche a più toni fossero troppo difficili da realizzare (mai porsi dei limiti nella vita, tardi ma l’ho finalmente capito!!), quando finalmente mi sono deciso a fare “il grande passo” con il MiG-15 già pubblicato su queste colonne, mi si è schiuso un mondo!
«Vuoi vedere» mi sono detto «che non solo non sono così difficili da realizzare, ma sono pure un sacco divertenti?»
Fine dell’Off Topic, veniamo a noi!
Per dare un po’ di colore alla mia vetrina, ho scelto un bel MiG-21 Bis Siriano, ambientato proprio nel 1982, molto probabilmente una delle vittime dei Falcon e degli Eagle con la stella di David. La scatola di partenza è quella Academy in 1/48, che contrariamente a quanto scritto sulla box art, non rappresenta un MF bensì un Bis.
Essendo io del tutto ignorante sull’argomento, ho appreso ciò dalle recensioni lette in rete e da un confronto col guru dei MiG, Gianni Cassi, come al solito disponibile e gentile nel dissipare ogni mio dubbio!
Dal momento che l’abitacolo è un po’ scarno, ho fatto ricorso a quello in resina della Neomega. A completare la lista della spesa le ruote in resina CMK e il foglio decals della Tally-Ho “Focus on Fishbed part 2” che offre una selezione di MiG ex jugoslavi tutti però nella livrea monogrigio che volevo a tutti i costi evitare oltre al mio siriano e un MF egiziano.

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COSTRUZIONE

Da un po’ di tempo la mia filosofia modellistica mi porta a fare i modelli così come escono da scatola, senza troppi patemi d’animo, ma in questo kit l’abitacolo è davvero uno scherzo, forse anche per la più piccola 1/72. Quindi un bel tiro a canestro degno del miglior Michael Jordan e i pezzi sono finiti dritti nel cestino (ovviamente centrato con gran tiro da 3 punti!). i pezzi Neomega sono sublimi a mio modestissimo parere e hanno il pregio non da poco di adattarsi perfettamente al kit di destinazione. Il segreto? In pratica i pezzi Neomega altro non sono che i medesimi del kit dettagliati alla perfezione e stampati in resina.

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Capitolo colorazione: gli interni del 21 tarde serie sono in quell’azzurro turchese a detta dei piloti molto riposante (de gustibus…): ognuno ha la sua ricetta, personalmente pur avendo in casa la tinta Model Master, non volendo inquinare la cucina con i miasmi dello smalto (ho provato una volta, ci volevano le maschere anti-gas e cucinare il pesce non diventava il massimo della vita) ho usato il verde smeraldo della Gunze. Troppo verde? Troppo sparato? Può darsi, però me gusta mucho! Strumenti in nero opaco e successiva goccia di Future per simulare i vetrini, lavaggio con bruno Van Dyck e drybrush in bianco e questo primo capitolo si può dire archiviato.
Per il resto il montaggio procede senza troppi patemi d’animo: gli incastri sono perfetti, forse lo scarico è da sostituire (fortunati i possessori del set MF Detail, purtroppo introvabile data la cessata attività della ditta Ungherese). Ricordatevi di appesantire il muso, altrimenti il vostro modello assumerà un poco piacevole assetto seduto.

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I vani carrelli sono in grigio H-308 Gunze con lavaggio con Grigio di Payne, così come i carrelli, mentre il cono radar e i cerchi delle ruote, così come i dielettrici sono in verde H-302 Gunze.
E così in men che non si dica, eccoci arrivati alla colorazione.

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Come mio solito da ormai un po’ di tempo, ho usato gli acrilici Gunze, diluiti come suggerito nei suoi articoli dal succitato Gianni Cassi: in un barattolino di Gunze metto tre o quattro pallini da pesca, poi riempio fino all’orlo con alcool rosa ed il gioco è fatto! Così sono un vera bomba e si stendono che è un piacere!
Come detto, la mia scelta è caduta su un esemplare siriano dipinto con un’accattivante mimetica a quattro toni: sabbia, con bande in verde e grigio per le superfici superiori, azzurrino per le superfici inferiori. Qui sotto i colori da me usati.

  • Sabbia: H-313
  • Verde: H-303
  • Grigio: H-317
  • Azzurro: H-67

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Stesi tutti i colori (a mano libera, con l’eccezione della delimitazione fra il sabbia e l’azzurro che era netta), ho proceduto a un leggero (forse troppo… i trasparenti hanno uniformato il tutto! È tutta esperienza che verrà utile al prossimo modello) post-shading: al colore di base già diluito, ho aggiunto una goccia di bianco opaco e ulteriore alcool. Provare per credere!
Quindi mano di Future e lavaggio a olio nero. Altro errore, che vedrò di evitare la prossima volta: prima di fare il lavaggio, mettere le decals e poi fare il lavaggio!
Messe le poche decals (uno dei pregi di questi aerei sovietici… l’F-15 sarà ben altra musica!) ho dato un’altra mano di Future a sigillare il tutto, e poi da ultimo una passata di opaco Lifecolor.
Il montaggio dei piccoli particolari ha concluso il mio lavoro.

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CONCLUSIONI

Un kit divertente, un lavoro breve, una macchia di colore nella mia bacheca. Tutto sommato questi cattivi sono proprio affascinanti, e infatti in men che non si dica il mio scaffale di scatole si è riempito di soggetti d’oltrecortina. Credo proprio che diverrà una tematica che porterò avanti in parallelo al mio grande amore che sono e restano gli aerei della RAF.

Buon modellismo
Alessandro  Gennari

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Eccomi qui ancora una volta tediarvi con i miei Tornado. Credo che ormai la mia «Tornadite» stia assumendo proporzioni allarmanti, è meglio che vada a farmi vedere, ma da uno bravo!
Ancora una volta la scelta è caduta su un esemplare della RAF, in assoluto  i miei favoriti (e chi mi conosce bene lo sa): in questo caso ho deciso di rappresentare un esemplare della versione Gr.4, l’ultima evoluzione dell’aereo, con una magnifica, a mio avviso, colorazione commemorativa per celebrare i 95 anni di storia del 2^ Squadron.
Come detto, la versione Gr.4 rappresenta l’ultimo step evolutivo del Tornado, evoluzione che gli permetterà di rimanere in servizio fino almeno al 2025. All’esterno è immediatamente distinguibile per la presenza del pod Flir sul lato sinistro della fusoliera, fatto che ha comportato l’eliminazione del cannone Mauser sul lato sinistro stesso.
In questa nuova configurazione, l’aereo acquisisce migliori capacità ognitempo e può trasportare ogni tipo di arma intelligente presente nell’arsenale della Royal Air Force.
Il battesimo del fuoco c’è stato nel 2003 nel corso dell’Operation Telic in Iraq. Diversamente da quanto accadde durante la prima Guerra del Golfo nel 1991, quando i Tornado furono impiegati in missioni a bassa quota lamentando non poche perdite, nel 2003 proprio l’utilizzo della nuova versione permise l’impiego a media quota: le perdite furono drasticamente ridotte, anzi l’unica perdita è da attribuire a un troppo zelante operatore delle batterie Patriot americane, che scambiò il malcapitato Tornado nientemeno che per…uno Scud Iracheno! Purtroppo questo tragico errore costò la perdita non solo dell’aereo ma anche di entrambi i membri dell’equipaggio.

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NOTE MODELLISTICHE

In conclusione del precedente articolo, giurai e spergiurai che mai e poi mai avrei fatto un altro Tornado in 1/72, che li avrei fatti d’ora in poi in 1/48. Detto e fatto! Peccato che l’entusiasmo iniziale si sia infranto contro un nemico ben più ostico del ragnetto in scala 1/72: il kit Italeri in 1/48!
All’interno della scatola contraddistinta da una bella foto in volo di un esemplare commemorativo italiano, troviamo tre stampate in grigio chiaro e una di trasparenti, per un totale di circa 150 pezzi. A completare il modello un sontuoso foglio decals che permette di realizzare oltre al già citato esemplare italiano (davvero bello nella sua livrea argento e nero con una grossa testa di pantera dipinta in fusoliera), due esemplari RAF di cui uno mimetico e uno a due toni di grigio e da ultimo un esemplare tedesco nella nuova livrea a tre toni di grigio!
Il modello purtroppo sente appieno il peso dei suoi anni (ormai quasi 20!) e anche se si presenta con delle belle incisioni in negativo, il dettaglio è assai povero. Inoltre alcune pannellature sono errate, altre di fantasia, altreancora mancanti.
Immagino che qualcuno a me vicino, leggendo queste note mi taccerà di incoerenza chiedendosi che fine avesse fatto il paladino del montaggio da scatola; ma, purtroppo per il mio portafogli,  sono così follemente innamorato del Tornado che ho deciso di far schizzare l’investimento alle stelle.
L’ho sempre detto che mi ci vuol la fidanzata che mi dia una regolatina…
E così ho mandato una mail al mio pusher di fiducia e mi sono fatto inviare:

  • Cockpit Neomega
  • Set di dettaglio completo Flightpath
  • Accessori Paragon Designs (scarichi, ruote, piloni alari e di fusoliera)
  • Fotoincisioni Eduard per il Tornado F.3

Già che c’ero mi sono procurato un po’ di fogli Model Alliance!

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MONTAGGIO

Prima operazione semplice semplice: prendete il contenuto della scatola e tenetevi le fusoliere, le ali, gli impennaggi, carrelli, vani e relativi attuatori e ovviamente i trasparenti. Per il resto regalate tutto al vostro cestino, che ricordo, è l’unico che accetta ogni vostra profferta senza dire nulla! Gentile no?
Ora, punto per punto, ecco il lavoro da me fatto:
a)  Correzione delle pannellature: come detto in sede di presentazione, alcune pannellature sono errate o di fantasia, altre sono state omesse. Mano ai disegni (tratti dalla monografia edita dalla HT Model), ho prima pazientemente stuccato le pannellature fuori posto e poi, armato di scriber Hasegawa e nastro Dymo ho inciso quelle giuste. Generalmente non mi sarei mai imbarcato in un lavoro di questo tipo, ma per amore questo e altro!
b) Fusoliera: alcune modifiche vanno fatte in sede di montaggio della fusoliera. Partendo dal troncone anteriore, ho eliminato la bocca del cannone sul lato sinistro  e adattato il pod Flir in metallo bianco proveniente dal set Flightpath. L’incollaggio l’ho effettuato con colla bi componente, preferita al ciano-acrilato per via dei più lunghi tempi di asciugatura che permettono l’aggiustamento ottimale delle parti prima del definitivo incollaggio, peraltro molto robusto. Mi ha stupito in negativo anche la voragine che si viene a creare fra la fusoliera e il telemetro laser, incluso nel kit…
Venendo al troncone posteriore, ho fatto una piccola modifica a livello dei piani di coda, eliminando l’inutile e fragile sistema di rotazione e installando un tondino di metallo che permette il montaggio a verniciatura completata. Consiglio a tutti una modifica del genere, perché oltre a rendere più semplice la verniciatura, evita la cestinazione del modello in caso di rottura (peraltro molto facile) del sistema di rotazione!

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c)  Abitacolo: l’abitacolo Neomega è qualcosa di  spettacolare e inoltre si adatta senza alcun problema al kit, il tutto grazie alla saggia politica della ditta russa che progetta i suoi set lavorando direttamente sui pezzi del kit che vengono dettagliati e poi stampati in resina! Ben fatto, Neomega! A questo punto al modellista non resta altro che dipingere il cockpit e cercare di trarre il meglio dallo splendido lavoro fatto dal masterista russo. Il colore di base è il Medium Sea Grey H-335 della gamma Gunze. Per esaltare il tutto ho fatto i soliti lavaggi a olio (con nero e grigio di Payne) e drybrush con bianco opaco. Gli schermi radar sono dipinti in verde, mentre con nero, giallo, rosso e bianco ho dipinto la miriade di bottoni e bottoncini. Per gli strumenti ho usato il nero e con la cera Future ho simulato i vetrini. Per quanto riguarda i sedili, la struttura è in grigio, il poggiatesta in nero (Gunze H-77), il cuscino in verde oliva (ho usato uno degli ottimi acrilici Agama, perfetti a pennello), le cinture in marrone. Il solito trattamento di lavaggi e drybrush completa il lavoro. Lasciatemi dire che di seggiolini così belli ne ho visti davvero pochi!
d) Carrelli e vani: tutto da scatola. Sui carrelli ho aggiunto le tubazioni dei freni facendo riferimento alla miriade di foto in mio possesso, mentre ho preferito soprassedere sul dettaglio dei vani carrello che resteranno invisibili a patto di non mettere l’aereo su uno specchio. Le ruote sono le splendide Paragon Designs in resina, con effetto peso e dello giusto spessore. Quelle del kit sono esageratamente sottili, come del resto i carrelli che fanno sembrare il nostro Tornado un trampoliere. Ci sarebbero dei rimpiazzi in metallo bianco dell’Aeroclub, ma oltre a essere destinati al kit Airfix, sono eccessivamente bassi e donano all’aereo un effetto suolo da fare invidia ai moderni bolidi di Formula 1! Il mix fra le gambe del kit e le ruote Paragon con i cavetti auto costruiti rappresenta a mio umile parere la giusta soluzione.
e)  Prese d’aria: montate da scatola e dipinte in grigio chiarissimo X-147 Xtracolor. Inoltre sono state dettagliate con i pezzi fotoincisi della Flightpath.

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f)  Assemblaggio: tutt’altro che semplice. Lo stucco da usare non è poco e ci vuole della santa pazienza per scacciare la voglia che vi prende di far fare al modello un bel volo dalla finestra! A dir poco tremendo l’assemblaggio della presa d’aria con la fusoliera, dove si forma addirittura uno scalino. Ancora peggio l’assemblaggio delle alette Krugher, in due pezzi ciascuna e il relativo adattamento. La soluzione è una: stucco, stucco e ancora stucco! Impegnativo anche l’assemblaggio del troncone di coda, quello che contiene i motori per intenderci, al resto della fusoliera. E il radome? Peggio che andare di notte! Anche qui una bella stuccatina e relativa carteggiata risolve ogni problema! L’unico lato positivo della vicenda è che quando sarà finita la grande grattugiata, avremo in mano un qualcosa che ha le sembianze di un Tornado!
g) Piloni e carichi alari: malgrado dalle foto in mio possesso l’esemplare da me scelto fosse sempre senza armi (ovvio per uno special colour!), in questa fase mi sono concesso una licenza poetica: essendo il Tornado l’archetipo dell’aereo brutto, sporco e cattivo, mi sembrava una mancanza di rispetto nei suoi confronti lasciarlo disarmato. E così mi sono procurato due bombe a guida laser inglesi dal kit Revell dell’Eurofighter, due missili Sidewinder sempre dal kit dell’EFA (in alternativa si possono dettagliare quelli del kit con le fotoincisioni Eduard o usare quelli in metallo e fotoincisioni del set Flightpath), un paio di serbatoi Hindemburger gentilmente fornitimi da un amico (quelli del set Flightpath hanno l’inconveniente non da poco di essere in unico blocco di resina, non certo due pesi piuma per le fragili gambe Italeri). I piloni sono in resina Paragon, mixati, con le rotaie di lancio dei Sidewinder in metallo bianco.
h)  Tettuccio: la struttura interna del tettuccio è un mix di fotoincisioni Flightpath e Eduard, il tutto dipinto in H-335
i) Particolari: una volta terminata la verniciatura, si può procedere all’assemblaggio finale. La sonda di rifornimento in volo è stata montata chiusa, sia per intrinseca pigrizia sia perché proprio non mi piace aperta! Secondo me deturpa la linea dell’aereo e da ultimo, non vedo molte foto di aerei a terra con la sonda estratta. Per contro, malgrado i dettaglio dei vani non sia entusiasmante, ho lasciato aperto gli aerofreni, dipinti in banco all’interno, così come i vani e gli attuatori, che hanno una parte in argento (Polished alluminium Metal Cote Humbrol). Tettuccio, parabrezza e altri ammennicoli completano l’opera! Le antenne a lama provengono dal set Eduard e sono state dipinte in giallo sabbia Gunze H-79

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COLORAZIONE

Questa è stata come al solito la fase più attesa e divertente per me, anche se non è stata priva di dubbi. Infatti, stando alle istruzioni del foglio Model Alliance l’aereo portava la mimetica a due toni, ma dalle foto è chiaro che sia uno solo il grigio della fusoliera. Il radome appare di un’altra tonalità. Ho girato la domanda a un forum britannico e ho ottenuto la seguente risposta: aereo totalmente in Medium Sea Grey con radome n Dark Camouflage Grey. Sebbene dal raffronto con le foto ne uscissi dubbioso (secondo me era al contrario!), ho dato retta ai modellisti inglesi e mi sono fidato. Quindi ho caricato l’aerografo con H-335 Gunze diluito con alcool rosa e l’ho steso in più mani. Quindi mascheratura e via col secondo colore, il grigio del radome, per cui ho usato l’H-82 Gunze. Da ultimo ho colorato la zona nera usando il Tyre Black H-77 Gunze.
Una mano di Future prepara il modello per la stesura delle decals e i lavaggi a olio, fatti col nero. Un aereo commemorativo generalmente non si sporca troppo, ma a volte credo che l’impatto scenico debba prevalere (purché in modo plausibile) sul realismo.
Ora non resta che la rifinitura: con i metallici Model Master si colorano gli scarichi, la piastra sulla deriva e la bocca del cannone.
Le decals provengono dal foglio Model Alliance art. 48154 «UK Air Arm Update 2006-2007 part IV» che oltre alle insegne per realizzare il nostro esemplare, contiene decal per un altro esemplare Gr.4 commemorativo e per altri soggetti fra cui Eurofighter e Tornado ADV. Sicuramente un foglio che non resterà inutilizzato…
Terminata la stesura delle decals con l’aiuto dell’ammorbidente della Gunze, ho passato un’altra mano di Future e quindi il trasparente opaco Lifecolor ha posto fine a questa fase.
Ora non resta che montare gli ultimi particolari come carrelli, aerofreni, antenne e un altro Tornado è pronto per la mia bacheca!

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CONCLUSIONI

Un montaggio tutto sommato piacevole malgrado la base di partenza, e svoltosi relativamente in poco tempo (leggendo report di montaggio su svariati forum ho letto peste e corna di questo modello!): poco più di un mesetto.
Ho già fatto scorta di decals e di cockpit in resina Neomega in vista di altri montaggi, nel frattempo confido che i tanto sospirati kit annunciati dalla Hobby Boss escano al più presto e soprattutto siano in grado di mandare finalmente in pensione il kit Italeri. Non ho nulla contro il kit Italiano, che rappresenta sicuramente una miglior base rispetto all’Airfix (che però ha il vantaggio, specie per gli anglofili come il sottoscritto, di avere già nel kit una completa panoplia di armi RAF altrimenti difficili da reperire!), ma qualora non fosse così, il mio sogno cullato fin dall’infanzia di fare una bella collezione di Tornado si tramuterebbe in un incubo!
Prima di salutarvi e augurarvi buon modellismo, vi dico solo: stay tuned, perché per il prossimo Tornado sono annunciate grosse sorprese!
That’s all.
Alessandro Gennari

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Con questo inauguro una – si spera lunga- serie di articoli dedicati al Tornado in tutte le sue varianti e colorazioni. In realtà sarebbe il terzo, dato che due già sono stati pubblicati su queste colonne, ma purtroppo quei modelli per vicissitudini varie non esistono più.
Chi scrive ama alla follia il Tornado (pregasi leggere il significato metaforico della parola amore…), con un debole per quelli in servizio con Sua Maestà la regina d’Inghilterra. E così non poteva che essere un Tornado inglese il primo soggetto, nella fattispecie un aereo nella nuova livrea a due toni di grigio (invero decisamente tristanzuola) in servizio col 17esimo Squadron di stanza a Bruggen in Germania.
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IL MODELLO

Per la costruzione del kit, mi sono avvalso del kit Revell nella per me minuscola 1/72. Per uno che viene dalla 1/32 e ormai con l’occhio alla più abbordabile 1/48, è stato davvero un trauma, almeno per i primi tempi e vedermi armeggiare con un simile ragnetto, ha suscitato non poca ilarità in mio padre, abituato a vedermi litigare con modelli decisamente più grossi!
Il kit, peraltro già recensito su queste colonne (la recensione la trovate nell’omonima sezione), si compone di circa 200 pezzi in un ottima plastica grigia, con un fine dettaglio in negativo che nulla ha invidiare al suo cugino in scala 1/32, di cui è una perfetta riduzione in scala! Ottimi abitacolo e carrelli, abbondante la scelta dei carichi alari, a cui è dedicata una stampata a parte.
Bene stop alle chiacchiere e mano agli attrezzi!!
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MONTAGGIO

Il montaggio inizia dall’abitacolo, per cui la Revell fornisce una decina di pezzi ben stampati e con un dettaglio carino rapportato alla scala. I sedili sono in quattro pezzi e hanno le cinture stampate! Per chi volesse strafare sono disponibili degli ottimi set Aires o Eduard e non mancano i seggiolini in resina o metallo. Io mi sono accontentato di montare tutto l’intero kit da scatola, senza alcuna spesa aggiuntiva.
Come grigio di base ho usato il Medium Sea Grey H-335 Gunze, lavorato poi con lavaggi a olio neri e Grigio di Payne. I dettagli in nero (cloche,  poggiatesta dei seggiolini, consolle del navigatore) sono stati ottenuti con H-77 Tyre Black Gunze.
Una volta chiuse le fusoliere e uniti i due tronconi il montaggio procede senza storia: consiglio solo un paio di cose a livello del troncone posteriore. Per prima cosa di lasciare mobili le ali, verrà utile questo giochino quando si deve realizzare la zona di rotazione che è di un colore diverso, senza dover impazzire con mascherature varie. Secondo, eliminare il sistema di rotazione dei piani di coda, inutile e pericoloso, perché troppo fragile. Il sottoscritto ha buttato non si sa quanti kit di Tornado per colpa di questo inutile optional! In questo caso la mia pigrizia ha preso il sopravvento e ho sfidato la sorte tenendolo, ma me ne sono pentito: per fortuna non si è rotto, ma che scomodo mascherare per dipingere la parte superiore dei piani! Quindi levatelo senza pensarci su due volte!
Per il resto nulla da dire. Come carichi ho scelto un aereo full armed, a mio modo di vedere molto cattivo e che rende perfettamente l’idea di potenza della macchina: quattro bombe “stupide” andranno a occupare i pilone ventrali, mentre quelli alari saranno riempiti da due serbatoi Hindemburg, due Sidewinder, un pod Boz-107 e uno Sky Shadow.
Ci ho messo più tempo a buttare giù queste due righe che a montare il modello e inviarlo al reparto verniciatura!
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VERNICIATURA

A partire dal 1998, i Tornado della RAF hanno cominciato a ricevere una nuova mimetica a due toni di grigio che ha soppiantato la vecchia livrea nato a chiazze grigio e verde. Per il grigio più chiaro, il Dark Camouflage Grey ho usato l’acrilico Gunze H-82, mentre per il Dark Sea Grey l’H-331 sempre Gunze. Come mio solito ho usato i colori ampiamente diluiti con alcool rosa e con tre/quattro piombini da pesca nel barattolino. La fase più tediosa qui è stata la mascheratura, per il resto tutto è filato liscio come l’olio!

Prima di dare la solita mano di Future per il lavaggio a olio e la posa delle decals, ho provveduto a dipingere il cono radar con il solito nero H-77.
Quello della posa delle decals è stato il lavoro più noioso in assoluto e che mio ha dato non pochi problemi sia per il numero delle decals da mettere, sia per le dimensioni, sia per l’opacità del film che ha creato in alcun punti il temuto e fastidioso silvering!
Non ho fatto il post-shading perché dalle foto i Tornado apparivano abbastanza ben curati e inoltre nel 1998 la livrea grigia era stata appena applicata, mentre con i gessetti ho dato leggere sfumature sulla coda per simulare il lavoro degli inversori di spinta, che in atterraggio si danno da fare!
Un’ulteriore mano di future e la passata finale di opaco Lifecolor hanno concluso il tutto.
Per quanto riguarda i dettagli:

  • carrelli, vani, portelli, aerofreni, cerchi ruote in bianco lucido H-1
  • il pod Sky-Shadow è stato dipinto in verde (Gunze H-330) così come era usato con la precedente mimetica per spezzare la monocromia grigia
  • pod Boz-107 e serbatoi in grigio H-83

il montaggio si è concluso con il montaggio delle ultime parti: il tettuccio lasciato aperto, la sonda di rifornimento in volo in posizione retratta (non guasta la splendida linea del Tornado), le varie antennine a lama e gli aerofreni estratti.
Ora il mio piccolo Tornado è pronto per essere messo in bacheca, il primo di una si spera lunga serie, ma l’ultimo in questa scala così piccola! I prossimi rigorosamente in 1/48!

Buon modellismo
Alessandro Gennari

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STORIA

La genesi del Fagot (nome in codice NATO del MiG-15) ha inizio…nell’Inghilterra dell’immediato secondo dopoguerra, allorché il partito laburista vince le elezioni politiche e sale al governo, sconfiggendo niente meno che Winston Churchill, colui che aveva salvato la nazione dalle mire espansionistiche di Adolf Hitler e delle Germania nazista.

Il nuovo governo stipulò subito un rapporto pacifico col blocco sovietico, nella convinzione che non ci sarebbero state più gravi crisi politiche mondiali, non dando di certo dimostrazione di avvedutezza! Ma bando alla politica: una delle conseguenze di questo rapporto col blocco sovietico fu la fornitura di un quantitativo di motori a reazione Rolls Royce Nene, che fu subito prodotto su licenza con il nome di RD-45.

L’aereo entrò in produzione sul finire del 1948, nonostante fosse afflitto da alcuni gravi problemi, su tutti la poco simpatica tendenza a cadere in vite a seguito di virate troppo strette. Ma su tutto prevalse la volontà di Stalin di disporre di un caccia avanzato, possibilmente superiore rispetto alla concorrenza occidentale.

Dal punto di vista tecnico, il MiG è un monoreattore, con fusoliera a sezione circolare, dotato di presa d’aria nel muso, carrello triciclo anteriore retrattile e con ali a freccia marcata (41°). Era costruito in lega leggera. Il carrello era progettato per poter operare anche da terreni semi-preparati, mentre la dotazione di strumenti era spartana e ridotta al minimo indispensabile. Il punto forte del MiG era l’armamento, composto da tre cannoni, uno da 37mm e due da 23mm, tutti concentrati nel muso: sebbene essi fossero molto efficaci contro i bombardieri, potevano poco contro i caccia, soprattutto per la limitata autonomia di fuoco. Quando i colpi però andavano a segno, erano dolori!

Chiedere ad esempio ai piloti americani impegnati in Corea, che fino all’introduzione dei Sabre finivano spesse volte gli scontri aerei appesi al loro paracadute. Peggio ancora andava ai malcapitati equipaggi dei B-29 che furono debitamente pestati dai MiG: valga come esempio la battaglia del 12 aprile 1951, quando una cinquantina di B-29, scortati da Sabre e F-84, furono affrontati da altrettanti MiG. Soltanto un MiG andò perso, mentre 3 B-29 furono abbattuti, altri 7 furono danneggiati più o meno gravemente, alcuni si disintegrarono al suolo in atterraggio, quasi tutti con membri dell’equipaggio morti o feriti.

Solo l’introduzione del Sabre unito al maggiore addestramento dei piloti americani, quasi tutti veterani del secondo conflitto mondiale e molti che vi avevano conseguito il titolo di asso, permise alle forze occidentali di avere la meglio sulle forze comuniste, che dal canto loro schieravano molti piloti russi veterani della Grande Guerra Patriottica ai comandi dei loro MiG, i quali si rivelarono dei veri ossi duri per l’USAF.

Il MiG-15 fu anche un grande successo commerciale, venendo esportato in Cina, Polonia (queste nazione ne costruirono svariati esemplari su licenza), in molti paesi allineati al blocco sovietico, ma anche in Africa, Medio Oriente e Cuba

 

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NOTE MODELLISTICHE

In scala 1/48, la favorita di chi scrive, esistono i kit di Monogram (ora riedito da Revell), un kit Tamiya e uno più recente della Trumpeter. Stando alle recensioni, il cinese, che è anche l’ultimo uscito, è quello meglio fatto, ma avendo trovato un Tamiya a prezzo da amico (anzi mi sia concesso ringraziare l’amico Piergiuseppe Lenzi per avermi fornito di kit), mi sono buttato su questo. L’unica pecca della mia edizione è la plastica cromata: un vero pugno nell’occhio!!! Un consiglio? Armatevi di occhiali di sole quando lo montate, oppure date una bella mano di primer o, ancora, una bel bagnetto nel liquido dei freni e vi troverete fra le mani…un vecchio Matchbox, con le mitiche stampate bicolore!

Per il resto il kit è buono, si compone di pochi pezzi e il nome solo Tamiya è garanzia di ottimi incastri, ha fini pannellature in negativo e qualche rivetto e offre anche una buona riproduzione del motore con tanto di carrellino per appoggiare il troncone di coda se si decide di lasciarlo staccato.

Come mia filosofia da qualche modello a questa parte, cerco di costruire il modello perlopiù da scatola, aggiungendo dove necessario del dettaglio. In questo caso, mi sono munito di uno spettacolare sedile KK-1 in resina di Neomega, un set zoom Eduard, le ruote in resina True Details, e da ultimo un foglio decals della Hi-Decals Line polacca.

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MONTAGGIO

Dunque, cari lettori, vediamo se siete preparati: da cosa ho iniziato il montaggio? Se all’unisono avete risposto «dall’abitacolo», avete dato la risposta giusta! La vasca è quella del kit, come del resto la cloche. Qualche fatica bisogna farla per adattare il seggiolino, che altrimenti sporge troppo e impedirebbe la chiusura del tettuccio. Il colore di base è un grigio H-317 Gunze, ravvivato poi con un lavaggio con grigio di Payne (chissà poi perché si chiama grigio se a conti fatti è un blu?? Mistero…)  e con i drybrush in bianco opaco. Stesso discorso per il sedile, con il cuscino e il poggiatesta in nero (H-77 Gunze) e le cinture in Tan.

Prima di chiudere la fusoliera, dipingiamo la presa d’aria/vano carrello in alluminio opaco XF-16 Tamiya. La chiusura è perfetta. E qui comincia il leit motiv che mi ha perseguitato per tutto il montaggio: i tecnici Nippon hanno avuto la malsana idea, complice probabilmente un eccesso nel consumo di Sakè, di stampare il kit in una poco simpatica plastica cromata, che oltre a essere un pugno nell’occhio come detto prima, costringe il povero modellista a grattare tutta la cromatura dai punti di giunzione e malgrado questo ricorrere al ciano dal momento che comunque i pezzi tendevano a scollarsi! Tutto questo con la pensata di evitare al modellista la colorazione del metallo. Non male, se non fosse che è praticamente impossibile preservare intatta la cromatura durante il montaggio e soprattutto se non fosse che il sottoscritto si è dannato a cercare un esemplare mimetico!

La Tamiya però ci mette poco a farsi perdonare: nel kit viene fornito un cilindro di metallo a guisa di zavorra e ci delizia con incastri perfetti e un montaggio rapidissimo! Basti pensare che da quando ho aperto la scatola a quando l’ho finito è passata poco meno di una settimana: un vero modello cotto e mangiato!

Ho preferito evitare il montaggio del motore, e ho quindi unito i due tronconi della fusoliera, risparmiando per altri modelli il carrellino porta coda. Ottima l’unione ala fusoliera: una stuccatina qui e fra i due tronconi e il gioco è fatto.

Senza che me ne accorgessi il modello era bell’e pronto per essere inviato al reparto verniciatura!

 

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VERNICIATURA

Ed eccoci arrivati alla fase che più mi diverte, ovvero quella della pittura. Lo ammetto, sono un tipo frettoloso, e spesso trascuro un po’ il montaggio per arrivare alla pittura il più in fretta possibile! Non abbiatemene! Però non prendetemi nemmeno a esempio…gustatevi il montaggio del vostro kit e badate a ogni minimo dettaglio soprattutto nel montaggio: è quello che fa la differenza assieme alla verniciatura.

Ma veniamo a noi: come al mio solito ho fatto ricorso ai colori acrilici Gunze. Non finirò mai di tessere le lodi di questi colori e non la smetterò mai di dichiarare solennemente di ritirarmi dall’attività modellistica qualora questi colori spariscano dal mercato!

Ho dato una mano di primer sottoforma di grigio scuro Tamiya, poi sono partito coi colori della mimetica. L’esemplare da me scelto era un MiG-15 operativo durante la guerra di Corea, che volava con insegne sovietiche ai comandi dell’asso Nikolaj Shkodin, il quale, stando alle istruzioni Hi-Decals Line fu accreditato dell’abbattimento di 4 F-86 e di un F-84. Lo status di asso era invece confermato dalle cinque stellette poste appena dietro il canopy.

Sono partito dal colore delle superfici inferiori, per cui ho usato l’azzurro H-67, l’RLM65 tedesco. Per il sabbia invece ho usato l’H-66 (RLM79). Non preoccupatevi, sto sempre parlando del MiG, non ho divagato su un Fw-190…

L’ultimo colore della mimetica è il verde, per cui ho usato l’H-36. Lo schema è stato dato a mano libera. I più attenti noteranno alcune incertezze nelle chiazze verdi: questo è dovuto all’inesperienza, dal momento che dopo tanti grigi e mono-colore, mi sono finalmente deciso a fare qualcosa di diverso e questo è il mio primo tentativo. Prego, non sparate sul pianista!

Tutti i colori sono stati diluiti al massimo con alcool rosa, e poi ho messo tre piombini da pesca in ogni barattolino. Per schiarire il centro dei pannelli ho preso il colore già diluito, ho aggiunto una goccia di bianco opaco e messo ulteriore alcool.

Una mano di Future prepara il modello per i lavaggi a olio (ho usato del nero tirando via l’eccesso passando uno straccio nella direzione del flusso dell’aria) e la posa delle decals, operazione che si completa in pochi minuti, dato l’esiguo numero di queste. Messe le decals, altra mano di future e passata finale di trasparente opaco, per cui prediligo il Lifecolor.

Per quanto riguarda i particolari: vani carrelli, carrelli, interno dei portelli e interno dei flaps sono in alluminio (XF-16 Tamiya), le ruote sono in nero pneumatico H-77 Gunze con il cerchione in verde H-302. Gli ammortizzatori del carrello sono in Polished Alluminium Humbrol della linea Metalcote.

 

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CONCLUSIONI

Il montaggio dei particolari completa il modello e il nostro piccolo MiG è pronto per essere messo in vetrina; in mezzo al grigio dominante devo dire che risalta eccome con i suoi colori “sgargianti”.

A parte le incertezze nella mimetica e i soliti errorini di montaggio dovuti alla fretta, devo dire che mi sono divertito a fare questo modello, che mi ha regalato delle ore di sano modellismo e mi ha permesso in poco tempo di poter aggiungere alla mia collezione finora dominata da aerei occidentali, il mio primo aereo sovietico. Nel mio armadio c’è l’intera stirpe dei MiG in attesa di ricevere le mie cure: credo proprio che continuerò a esplorare l’affascinante mondo dei “cattivi”.

Buon modellismo!

 

Alessandro Gennari

p.s.: mi sia concesso ringraziare ancora una volta l’amico Piergiuseppe per il kit e Gianni Cassi per i preziosi consigli e le dritte datemi per questo modello!

 

 

Lo chiamavano “Mezzolitro”…

Pubblicato: 27/02/2009 in Auto

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Due anni fa è caduto il cinquantesimo compleanno di questa leggenda a quattro ruote, nata alla fine degli anni’50 grazie alla brillante idea di Dante Giacosa. Per molti, che a quel tempo erano sbarbati, la 500 è stata la prima macchina, e sicuramente tutti noi ragazzi abbiamo sentito le mirabolanti avventure che i nostri genitori compivano alla nostra età in compagnia del «Mezzolitro». Piccola e compatta, molto economica, è stato il simbolo della motorizzazione in Italia, con una miriade di esemplari prodotti e venduti, riscuotendo un notevole successo anche all’estero: in Giappone ad esempio è divenuta oggetto di culto, mentre in Austria ne fu prodotta una versione su licenza dalla Steyr e ne fu prodotta anche una versione specifica per il mercato inglese, con annessa guida a destra! La 500 era solida come una roccia e veniva usata in qualunque situazione: per muoversi in città, per andare in vacanza, come romantica alcova dove appartarsi con le ragazze. Grazie al tettuccio apribile si potevano sperimentare ardite soluzioni come ad esempio provare a starci in sei, con il sesto passeggero che stava in piedi e sbucava dal tettuccio. Quando mio padre provo, lui e la sua compagnia di amici vennero ricondotti a più miti consigli da un vigile urbano!

Il mito della 500 si è ovviamente tramandato di generazione in generazione, e ancora oggi è possibile vederne in circolazione numerosi esemplari, alcuni così lucidi da sembrare appena freschi di concessionario.

Chi scrive prova un sentimento di amore folle per la 500 (prego eventuali fanciulle che si imbattessero in queste righe di valutare l’aspetto platonico del termine amore…) e non potendo possedere un esemplare reale, si deve accontentare del modellino.

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Nella classica scala 1/24, ci sono soltanto due kit della 500, paradossalmente entrambi di origine giapponese: uno della Gunze Sangyo, piuttosto semplificato, ma comunque gradevole e carino da montare, e l’altro della Tamiya molto più completo e dettagliato. La mia scelta è caduta su quest’ultimo prodotto, recentemente tornato disponibile sul mercato dopo qualche anno di latitanza.

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MONTAGGIO

Sono partito dal motore, che la ditta Giapponese fornisce completo in ogni dettaglio. Per la pittura mi sono fidato delle istruzioni, seguite pedissequamente. Unico tocco personale è stato il classico lavaggio con olio nero sulle parti dipinte in alluminio, per dare loro un po’ di vivacità e movimento. Per il resto ho usato il nero (X-18) e il grigio metallizzato XF-56 per il sistema di scarico.

Il montaggio prosegue ora con il telaio, completo di sospensioni, differenziali e sterzo. Il tutto da dipingere con l’immancabile e insostituibile X-18 Tamiya.

Installato il motore nello chassis, ci occupiamo degli interni. Per questa fase bisogna fare affidamento alla documentazione in nostro possesso, soprattutto per la pittura dei sedili. Per spezzare un po’ la monotonia del nero, ho deciso di dipingere i sedili in rosso e in bianco. Alternativamente, come detto, essi potevano essere completamente neri. Neri vanno però vanno il tunnel con annessi accessori (leva del freno a mano, pomello del cambio, leva di accensione e leva della miscela aria), il pavimento, i supporti dei sedili, i pedali. Il cruscotto è dello stesso colore della carrozzeria, con il piantone del volante in nero. Il volante stesso e il tachimetro (unico strumento presente nello scarno cruscotto delle prime serie costruttive della 500) sono invece bianchi, per cui ho usato il TS-26 Tamiya in bomboletta.

In poco tempo vediamo la nostra macchina prendere forma e così è giunto il momento di dedicarci alla verniciatura.

 

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VERNICIATURA E ASSEMBLAGGIO FINALE

La 500 permette una scelta praticamente infinita di tinte per la carrozzeria, fra quelle di catalogo o le varie personalizzazioni che ciascun utente richiedeva. Personalmente mi sono orientato su una fiammante 500 rossa. Come colore di base ho usato il TS-49 Bright Red in bomboletta della Tamiya, successivamente reso lucido grazie al trasparente della Talken, sempre in bomboletta. Il risultato mi ha lasciato davvero soddisfatto.

I cerchioni li ho dipinti con alluminio TS-17, successivamente poi completati dalla parte cromata e dalle gomme molto ben stampate, con una bella trama.

Le ultime operazioni da compiere sono quelle più delicate, in quanto si tratta di assemblare tutte le parti cromate alla carrozzeria (paraurti & co.) prestando la massima attenzione affinché nemmeno la minima goccia di colla rovini la verniciatura. Con un po’ di calma e organizzazione tutto è andato per il meglio! I vetri sono stati incollati con Vinavil dopo aver realizzato la guarnizione in nero (H-77 Gunze; cosa meglio del Tyre Black per simulare la gomma??) e argento (Polished Alluminium Humbrol metal cote).

Non resta altro da fare che unire la carrozzeria al telaio (operazione che avviene senza difficoltà e senza necessità di colla grazie all’intelligentissima scomposizione messa in atto da Tamiya) e installare le ruote. Ora il Mezzolitro è finito e pronto per essere messo in vetrina, dove fa bella mostra di se, pacifico, accanto alle belve del DTM!

Buon modellismo

Alessandro Gennari  

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Aprendo la scatola della Revell dedicata al Tornado in versione inglese (la prediletta dal sottoscritto) non si può non rimanere a bocca aperta, per la finezza del dettaglio e la quantità di pezzi (quasi 200!), soprattutto tenendo conto del fatto che parliamo di un kit nella microscopica (per chi come me è avvezzo alla 1/48…) scala 1/72! Tutto è splendidamente dettagliato in questo modello, dall’abitacolo ai vani carrelli, fino alle ruote già con effetto peso, ai vani aerofreni finalmente corretti. Sontuoso è il foglio decals, completo di stencils di servizio, alcuni veramente minuscoli. Esso permette la realizzazione di due esemplari inglesi, uno nella vecchia mimetica NATO in verde e grigio, l’altro nella più moderna e accattivante livrea a due toni di grigio. Come detto l’abitacolo è già completo di suo e francamente non si vede la necessità di un supplemento di soldi e di lavoro per aumentarne il dettaglio o per sostituirlo con un omologo in resina, date anche le piccole dimensioni. I seggiolini sono ciascuno in quattro parti e sono già completi di cinture di sicurezza. Buono il rilievo su cruscotti e consolles. L’unico neo a mio modo di vedere è dato dall’inutile e fragile sistema che permette di variare la freccia dell’ala e soprattutto quello per la rotazione dei piani di coda… Attenzione perché se si dovesse spaccare, sono dolori seri! I carrelli sono una piccola opera d’arte, già completi anche della tubatura dei freni!!! Nella riduzione del loro capolavoro in 32 alla scala più piccola i tedeschi non hanno davvero lasciato nulla al caso. Certo, se un lavoro del genere lo facessero anche in 1/48, il sottoscritto venderebbe la casa e ne acquisterebbe interi stock, ma fin che c’è vita c’è speranza. Il tettuccio si può lasciare aperto, manca in toto il dettaglio interno. Una stampata aggiuntiva rispetto alla prima edizione dedicata agli aerei tedeschi, contiene i pezzi specifici per la versione RAF: carichi alari (bombe, serbatoi “Hindemburg”), il telemetro laser e le varie antennine. Gli aerofreni così come la sonda di rifornimento in volo si possono opzionalmente montare aperti o chiusi. Ottimo gli scarichi, profondi e ben dettagliati. Insomma, un kit da avere a tutti i costi per chi è patito del Tornado e della piccola scala. Per i poveri appassionati dell’1/48 come me invece, c’è da sgobbare per cavare fuori qualcosa di buono dal vecchio Italeri. Piccola nota finale per quanto riguarda il prezzo: un gioiellino del genere viene via dai negozi per meno di 20 euro…

 

  • MODELLO: Panavia Tornado GR.1
  • SCALA: 1/72
  • MARCA: Revell
  • ARTICOLO: 04619
  • TIPO KIT: plastica a iniezione
  • PREZZO: 19,50 euro
  • COSA VA: pannellature fini, ottimo dettaglio del cockpit, carrelli, ruote con effetto peso, foglio decals, sonda posizionabile, vani aerofreni corretti e dettagliati
  • COSA NON VA: sistema di rotazione ali e piani di coda, mancanza del dettaglio interno al tettuccio

Questo è un blog che parla di modellismo, ma cos’è il modellismo? Tecnicamente, per modellismo si intende la riproduzione in scala della realtà. Ma quanto si può davvero parlare di riproduzione? Non sarebbe invero più corretto parlare di rappresentazione della realtà? Lo scopo di questo mio breve trattatello di filosofia modellistica è quello di illustrare la concezione che ho io dell’hobby e di conseguenza del mio modo di intenderlo. E l’illustrazione non può che partire dal tentativo di dirimere l’annosa questione: il modellismo è riproduzione o rappresentazione della realtà? Una volta risposto a questo, tutto il resto verrà automatico! E quindi seguitemi nel mio ragionamento o nella mia follia, a seconda di come ciascun lettore voglia interpretare queste righe.

IL MODELLISMO E’ RAPPRESENTAZIONE DELLA REALTA’ E NON UNA SUA RIPRODUZIONE

La dimostrazione di questa mia affermazione è presto data: la riduzione in scala implica per forza di cose, per motivi fisici, la semplificazione di alcuni particolari e l’omissione di altri. I pezzi che compongono i nostri modelli in scala, sono dei compromessi e come tali inaccettabili perché si abbia una riproduzione. Quindi, per puro paradosso, l’unica cosa che può riprodurre perfettamente la realtà è la realtà stessa. Nel modellismo quindi, si può cerca di raggiungere il miglior compromesso possibile con la realtà.

Inoltre affermo che: IL MODELLISMO E’ UNA FORMA D’ARTE e come tale è e deve essere soggetta alla libera interpretazione del modellista; un modello può e deve essere l’esemplificazione e/o lo sfogo di determinati sentimenti e stati d’animo, che non possono e non devono essere in nessun modo ingabbiati in regole e schemi ben precisi.

Sostengo a gran voce che molto spesso l’impatto scenico di un pezzo dovrebbe prevalere sul “realismo” in senso stretto: ciò non vuol dire che il modello deve essere mal realizzato o mal costruito, ma volete mettere l’impatto visivo che ha su un visitatore delle mostre o a qualunque persona del tutto digiuna di elementi di aeronautica un aereo armato fino ai denti, anche se così carico non si muoverebbe nemmeno dal suo hangar?

Ora un paio di riflessione su un paio di punti topici: la moda del superdettaglio e le mostre. Per quanto riguarda la prima, anche parto sempre dal punto iniziale della mia riflessione: è impossibile ottenere una riproduzione della realtà. Certo, l’utilizzo sempre più assiduo di prodotti per il dettaglio estremo (per i raggiungimento del miglior compromesso possibile) ha innalzato di molto il livello dei modelli. Quanto alla mia concezione su questo punto è questa: solo dove necessario! I modelli più recenti raggiungono livelli di dettaglio così alti che è quasi superfluo aggiungere dei costosi gadgets in resina che magari renderanno più glam il vostro modello, ma che alla prova dei fatti si rivelano solo degli orpelli di dubbia utilità. Diverso il discorso su modelli un po’ più vecchiotti o che siano palesemente poveri di dettaglio in zone nevralgiche. Questi fanno storcere il naso anche a chi come non è un maniaco del dettaglio ma che comunque la frequentazione di mostre e concorsi ha avuto la mente traviata. Ah ecco, le mostre. Credo che siano arrivate a un livello dove la competitività è troppa e insostenibile, che richiede un sempre maggiore bagaglio tecnico. Le soluzioni sono due: o non partecipare, o cercare di dare un calmiere. E credo che sia necessario percorrere questa seconda strada, dato che per me le mostre sono un’occasione unica di confronto. Ma, per favore, non facciamo un modellismo da salòn, un’arte ufficiale come quella della Francia di metà ottocento, un modellismo fatto di tanti maestri e di tanti bacchettoni. Altrimenti si sarà costretti a fare un circuito alternativo, dove il modellismo è e sempre sarà un divertimento sano, scevro da regole, gabbie e pleonastici tecnicismi.

Il dragone che viene dal freddo

Pubblicato: 30/12/2008 in Aerei

 

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Se andiamo per un momento aldilà dei luoghi comuni che fanno si che quando si parla di Svezia le prima due cose che vengano in mente siano gli ABBA e le belle biondine che fanno tanto battere il cuore a noi maschietti, scopriamo che la nazione scandinava possiede una delle industrie aeronautiche più avanzate al mondo e di conseguenza l’aeronautica militare svedese, malgrado le dimensioni piccole dispone fin da sempre di aerei che nulla hanno da invidiare ai caccia europei e statunitensi. E il Saab Draken è uno di questi. Sfido chiunque a dire che questo è un aereo progettato e costruito ormai quasi cinquant’anni fa! Riconoscibilissimo per la sua forma, con la sua grande ala a doppio delta e privo di piani di coda, esso assomiglia a un grosso aquilone, che infatti può essere considerata la seconda accezione della parola svedese “Draken” ed è stato il primo caccia svedese a raggiungere la velocità di Mach2.

Fresco di ritorno da un viaggio nella terra svedese e utilizzando il nuovo kit Hasegawa in 1/48, ho messo in vetrina una riproduzione di questo meraviglioso caccia. Il kit Hasegawa è quanto di meglio si possa chiedere, sia come dettaglio che come montaggio. Lo stampo è pulito e si compone di relativamente pochi pezzi, cosa che rende il montaggio facile e alla portata di tutti. Per i patiti del superdettaglio a ogni costo, segnalo che la Aires ha messo in commercio una serie di set di dettaglio che coprono tutti i punti “sensibili” come abitacolo, vani carrelli e scarico del motore. Tuttavia ho deciso che non era il caso di spendere soldi e diventare matto più di tanto e mi sono accontentato di montare il tutto come usciva dalla scatola, convinto come sono che sia la pittura la parte che più valorizza il modello.

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Bene, bando alle ciance e mano a colla e colori, si inizia!!! Come al solito la partenza è affidata all’abitacolo, che si colora con un colore di base verde (H-309 Gunze) e poi ravvivato dal solito trattamento con lavaggi a olio e drybrush. Il pannello strumenti riceve la sua bella decal, debitamente ammorbidita con l’apposti liquido Gunze. Il sedile ha la struttura in argento, con il cuscino in verde e il poggiatesta in nero. Le fusoliere sono divise orizzontalmente, e si accoppiano abbastanza bene. È in questa fase del montaggio che è richiesto un minimo di uso dello stucco, ma per il resto va tutto bene. Uniamo anche il radome alla fusoliera ricordandoci di mettere dei pesi al suo interno altrimenti il modello assumerà un antiestetico assetto seduto. Il sottoscritto non lo ha fatto e ha dovuto incollare il modello alla base!

Ottimi i carrelli, scomposti in modo razionale e completi di dettaglio; i più pignoli possono se vogliono aggiungere i cavetti dei freni, belle le ruote. Insomma, come avrete ben capito, si tratta di un ottimo kit, dal montaggio rapido e agevole e in poco tempo arriviamo alla colorazione.

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Come detto in precedenza, quella della colorazione è quella che più mi diverte. Hasegawa offre la possibilità di scegliere fra un esemplare nella vecchia elegante livrea in verde e blu su grigio e uno nella moderna colorazione in due toni di grigio, con grossi numeri in rosso day-glo sulle ali. Ed è proprio questo che ha catturato la mia attenzione e che ho riprodotto. Per la pittura ho usato il grigio FS 36375 per le superfici inferiori, il grigio FS 35237 per quelle superiori, entrambi acrilici Agama. Dopo aver schiarito il centro dei pannelli, una mano di cera Future ha preparato il modello per i successivi passaggi – lavaggio a olio e decals – e inoltre gli ha dato quell’inconfondibile aroma di…pesca! Nonostante la mano di cera abbia reso lucido a specchio il modello e nonostante il trattamento con l’ammorbidente, le decals mi hanno dato grossi problemi di silvering, che oltretutto mi sono costati una medaglia d’oro a una mostra!!

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Il montaggio si conclude con il passaggio di una mano di trasparente opaco Lifecolor e con l’assemblaggio dei piccoli particolari finali (carrelli, antenne, trasparenti).

Un modello sicuramente da consigliare a tutti, un bell’aereo, un soggetto originale, un kit fantastico già da scatola ma che in mano di modellisti esperti e capaci può diventare un capolavoro assoluto di superdettaglio!

Buon modellismo!

AleG

Dopo i fasti del 1993, quando l’Alfa Romeo dominò in lungo e in largo il campionato turismo tedesco (DTM), il 1994 fu decisamente più difficile e segnò il ritorno al successo della Mercedes, la quale fu però costretta a un brusco risveglio e a mettere in campo una nuova auto, la C-180, di cui due esemplari è possibile vedere già su queste pagine e che sarà soggetto di un prossimo articolo, avente per soggetto proprio la vettura campione. Ma torniamo alle nostre Alfa: la squadra ufficiale mise in campo una vettura evoluzione, mentre alcuni team privati corsero con l’auto ufficiale dell’anno prima, un’ottima vettura ma ovviamente inferiore rispetto all’auto con nuove specifiche e alle Mercedes di nuova generazione. Fra queste auto «clienti» spiccava senza dubbio quella tutta arancio, sponsorizzata dal famoso amaro Jagermeister.


E così dopo aver fatto entrambe le vetture ufficiali, ecco che mi cimento anche quella contrassegnata col celebre cornuto che caratterizza l’amaro. Invero una l’avevo già fatta, ma dal momento che essa è destinata a finire come regalo a un mio zio ex dipendente Alfa, ho colto l’occasione per cimentarmi ancora una volta con l’arcinoto kit Tamiya, che sebbene lo stessi affrontando per la quarta volta nel giro di pochi mesi, mi ha ancora una volta regalato delle sane ore di modellismo e divertimento. Anche qui, dal momento che il montaggio in dettaglio l’ho già descritto in precedenza, mi soffermerò solo su poche note. Il montaggio come al solito è stato senza problemi. I colori usati sono stati gli acrilici Tamiya secondo istruzioni, tranne che per il telaio, per il quale ho usato uno spray TS-30 sempre della ditta nipponica, e per la carrozzeria, sulla quale ho steso un paio di mani di arancio in bomboletta Talken, lucidata poi con una serie di passate leggere di spray trasparente Tamiya. Per i cerchioni ho usato sempre dal range Tamiya, il bianco TS-26 in spray.

Per chi ha tempo e voglia consiglio di cercare documentazione e dettagliare più che può il modello, ma anche da scatola mi ha lasciato del tutto soddisfatto!

In conclusione un altro piccolo gioiello Tamiya, un altro tassello alla mia collezione DTM: i prossimi saranno una Mercedes e altre due 155. Ancora? No tranquilli, stavolta sono quelle del 1996! Ma non voglio anticipare troppo, dico solo stay tuned!


Ecco la mia ultima realizzazzione! Dato che scrivere un’articolo di nuovo sarebbe una tautologia inutile (si veda l’articolo “La signora in giallo” sempre nella categoria auto), mi limiterò qui a dire due note più che altro di argomento coloristico. Il telaio e la struttura interna si dipingono in blu (ho usato un blu Vallejo), mentre per tutti gl ialtri dettagli ho usato acrilici Tamiya e smalti Humbrol (ormai uso solo acrilici, ma come nero semi-lucido, lo smalto Humbrol 85 resta a mio modo imbattiible!)

E veniamo al problema spinoso del nostro montaggio, ovvero la pittura della carrozzeria. L’auto si presenta in un elegante monocromo verde metallizzato molto scuro, per realizzare il quale la Tamiya popone un miscuglio dei suoi acrilici. Non avendo voglia di realizzare tale miscuglio, mi sono procurato un “Verde Mirto” della linea Spraycolor, che sono tinte originali per automobili, che a mio modo cattura abbastanza bene il verde dell’auto originale.

Il problema sta tutto nel fatto che questo colore è cangiante a seconda dellla luce e in alcune foto e filmati in mio possesso esso variava dal nero, al verde bottiglia, fino ad arrivare al blu i ncerte inqaudrature! Come detto, questo verde m isembrava il compromesso migliore! Sta a voi giudicare il risultato!

In questo momento sono già al lavoro su un’altra 155, la vettura gemella a quella presentata su queste pagine (si veda l’articolo “Un sogno italiano” presente sempre nelal categoria automobili) che spero di rpesentare al più presto su queste pagine. E poi altre scatole di questa meravigliosa serie del DTM giacciono nel magazzino in attesa di ricevere le mie cure, anche se c’è sempre una domanda che mi ronza in testa: ma gli aerei, mi ricorderò ancora come si fanno?
Basta avere pazienza e su queste pagine risponderò anche a questo quesito…
buon modellismo
Ale85

The dark Lady…

Pubblicato: 19/06/2008 in Auto
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Dopo aver tirato in mezzo Jessica Fletcher a proposito della Mercedes del team Promarkt già presentata su queste pagine, eccomi ancora a scomodare una donna e a paragonarla a una macchina! Spero che questo mio profano avvicinamento non urti chi rende meravigliose le nostre vite, le donne! Romanticismi a parte, veniamo al soggetto di questo articolo: continua l’«esplorazione» della serie di auto da turismo Tamiya, sempre di quella meravigliosa serie dedicata alle vetture che nei primi anni ’90 animavano le corse del campionato tedesco DTM. E come non pensare a una femme fatale parlando della Calibra che nel 1995, pilotata da una vecchia conoscenza del circus della F1 -J.J.Letho- si fece notare per la sua livrea nero lucido e la sua linea schiacciata che le donavano così tanto fascino. Fascino che la Tamiya ha saputo trasporre perfettamente in scala 1/24, con un altro modello da urlo! Evidentemente Munch nel suo capolavoro ha voluto rappresentare la faccia di un modellista che ha appena aperto la scatola della nostra Calibra «Cliff»… Inoltre le rifiniture in argento e gli sponsor in bianco danno ancora più eleganza alla vettura, già bella di per sé!


IL MODELLO

Come già detto in sede di presentazione, si tratta di un kit meraviglioso, nel classico stile Tamiya. Anche a costo di essere ripetitivo, questa delle auto DTM è per me una delle più belle serie di kit prodotti dalla ditta nipponica. Aprendo la grossa scatola troviamo circa un centinaio di pezzi ripartiti su due stampate in plastica nera, una di plastica trasparente, più una piccola con alcune parti cromate. A completare le gomme in vinile e le decals, che nel mio esemplare apparivano segnate in modo preoccupante, ma su questo tornerò a tempo debito. Il dettaglio è completo, dal motore al telaio, con la possibilità di lasciare in vista il propulsore tramite il cofano rimuovibile. Chi ha la documentazione ma soprattutto la voglia e la capacità, può dettagliare quanto vuole il modello, altrimenti lo si monta da scatola, che fa già la sua figura! Completo il dettaglio interno, anche qui, come per le altre auto vale il discorso delle cinture su decals, ma come sempre la Eduard ha il rimedio…

MONTAGGIO

Non starò a raccontare passo a passo il montaggio del modello, sarebbe solo una tautologica ripetizione del foglio istruzioni, che penso tutti siano in grado di interpretare…

Aggiungo soltanto qualche annotazione dove necessaria: partendo dal motore, lo dipingeremo come da istruzioni, per poi procedere a un lavaggio a olio sulla parte in alluminio, con lo scopo di esaltarne il dettaglio e spezzarne il piatto e la lucentezza. Per quanto riguarda il telaio, non disponendo dello spray TS-17 consigliato e dalle istruzioni, e sopraffatto dalla mia atavica pigrizia che ha fatto si che non scendessi in negozio a prenderlo, ho preferito sostituirlo con l’11 Humbrol, mentre le parti indicate sulle istruzioni da colorare in X-11 Tamiya, sono magicamente diventate in polished alluminium sempre Humbrol, della serie Metal Cote…

Così è stato per i freni a disco (pastiglie in XF-56, centro del disco in X-31; lavoro inutile, i cerchione inghiottirà tutto in un abisso di oblio…), per la griglia del radiatore e compagnia…verniciata!  Se volete fare un esercizio di stile (io lo ho fatto, a dipingere mi diverto) colorate gli ammortizzatori di giallo e rosso previa mano di primer grigio (dare il giallo e il rosso, i colori non coprenti per eccellenza sul nero è impresa impossibile), poi mascherate il tutto e date una mano di nero semilucido (Humbrol 85) sui pezzi. In questo modo avete sprecato un bel po’ di ore della vostra vita, nelle quali avreste potuto o portarvi avanti coi lavori o uscire con la morosa, però sapete che dietro il cerchione si nasconde un piccolo capolavoro di arte pittorica (essere single permette queste piccole facezie, anche se forse avrei fatto meglio a uscire e cercar di trovare una mororsa…)!

Gustatevi ogni singolo passaggio, e comunque in men che non si dica vi troverete sotto gli occhi la vostra Calibra! Infatti tra una facezia e l’altra è il momento di dare alla carrozzeria quel manto nero che la rende tanto affascinante. Per fare questo ho usato l’apposito spray Tamiya TS-14, a cui ho passato una prima mano di lucido sempre Tamiya (TS-13), una mano di future per preparare il modello alla posa delle decals, altra mano di lucido. E veniamo al discorso decals, unico brivido lungo il montaggio. Dato che il kit è un po’ vecchiotto, le decals si presentavano rigate e segnate e al primo contatto con l’acqua, si sono disintegrate in tanti pezzi e mi è toccato fare il puzzle. Per evitare di finire in neuro, ho passato una mano di lucido Tamiya direttamente sul foglio e poi messo le decals. Problema risolto. Visto come è semplice? Il trasparente dei vetri, dopo attenta mascheratura, ha ricevuto i frame in nero, e poi si è fatto un tuffetto nella future uscendo lindo e profumato di fragola!

 


Bene il montaggio degli ultimi particolari (vetri, fanali, antenne fatto con sprue filato a caldo) e l’unione della scocca completa il montaggio. Non resta che ammirare il vostro lavoro e metterlo in una vetrinetta a fare bella mostra di sé. Quanto alla mia, è già vicino alla signora in giallo e alle due Alfa, altro tassello di una collezione che pian piano comincia a prendere le forme volute dalla mia mente!

Buon modellismo!

 

La signora in giallo

Pubblicato: 31/05/2008 in Auto
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Non parlo della famosa scrittrice di romanzi gialli interpretata da Angela Lansbury, bensì della Mercedes C-180 che nel 1994 contribuì alla riscossa della casa tedesca nel campionato DTM, dopo che l’anno prima l’Alfa 155 di Larini aveva dominato il campionato suonando per bene i boriosi tedeschi che avevano preso sottogamba l’impegno Alfa Romeo. Il titolo di questo articolo è giustificato dal fatto che il modello da me presentato portava la vistosissima livrea gialla del team Zakspeed-Promarkt, che la rendeva immediatamente riconoscibile in mezzo al groviglio di vetture che prendevano parte alle competizioni. Pilotate da Van Ommen e Thiim, queste vetture ben si comportarono durante quella stagione vincendo anche alcune gare, con entrambi i piloti (3 con Thiim, 3 con Van Ommen). Alla fine il campionato andò a Ludwig, che pilotava anch’esso una Mercedes ma nel classico colore argento e con le insegne del team D-2. Da segnalare anche quell’anno l’ottimo comportamento delle Alfa Romeo 155, che però non riuscirono  a confermare il titolo piloti e costruttori conquistato l’anno prima.

IL MODELLO

Nel lontano 1994, proprio in concomitanza con le gare che le vedevano impegnate, la Tamiya produsse una meravigliosa serie di auto che avevano preso parte al DTM, producendo tanto l’Alfa 155 (di cui ho già pubblicato un articolo su queste pagine), quanto la Mercedes C-180 (con tre diverse livree) quanto la Opel Calibra. Si tratta di modelli meravigliosi, secondo me i migliori mai prodotti da Tamiya, purtroppo non più ristampati e attualmente rari da reperire. Il kit in questione è quello relativo, come detto alla macchina del team Zakspeed e si compone di un centinaio di pezzi ripartiti su tre stampate: una in un agghiacciante giallo, una in nero, una trasparente. A completare il kit la carrozzeria stampata anch’essa in giallo -questo nell’ottica di favorire chi non ha voglia o capacità di dipingere il modello-, una sacchettino con dentro le gomme e lo stemmino Mercedes fornito sottoforma di sticker adesivo. Il dettaglio è buono, completo, con la rappresentazione del motore che può essere lasciato in vista (chi ha voglia e tempo può iper-dettagliare il modello a suo piacimento!), così come completo è il dettaglio interno: forse l’unico neo è dato dalle cinture di sicurezza sotto forma di decals, ma si può chiuder un occhio o ricorrere a quelle fotoincise Eduard. Bene ora non resta altro che inforcare gli occhiali da sole (credetemi, quella plastica gialla è veramente tremenda per gli occhi!), prendere in mano colla e colori e iniziare il montaggio!
 

 

MONTAGGIO

Nulla di più semplice ed intuitivo! Basta seguire le istruzioni per montaggio e colorazione, pedissequamente ed il gioco è fatto. Ho iniziato dal motore, che si compone di nove pezzi. Il colore base del blocco motore è l’alluminio XF-16 Tamiya, con particolari in nero, mentre gli scarichi sono un marrone rossiccio. La cosa mi lascia un po’ perplesso ma considerato  che non sono riuscito a trovare foto che confermassero o sbugiardassero la Tamiya e considerato che poi poco o nulla sarebbe rimasto in vista non mi sono affannato più di tanto e mi sono fidato. Unica nota di “colore” è stato un leggero lavaggio a olio nero sul blocco motore per spezzare un po’ la monotonia dell’alluminio e dare un po’ di vita al pezzo, altrimenti troppo piatto. Fatto questo si assemblano i pezzi componenti il motore e lo si archivia in attesa che venga il suo momento di essere installato. Il telaio è molto dettagliato nella sua parte sottostante. Fa piacere scoprire che una volta montato tutto e dipinto il tutto, nulla resterà visibile sia perché appunto sta sotto sia perché il montaggio e la colorazione del fondo piatto (che pure viene fornito trasparente ma la soluzione non mi convince più di tanto) oscurano ancora di più il lavoro fatto. Però volete mettere la gioia di sapere (e soprattutto di saperlo solo voi…) che si è fatto tutto quello che andava fatto? Il telaio, come del resto la carrozzeria è giallo. E devo dire che l’ottima vernice spray acrilica della Talken si è rivelata stupefacente, coprendo perfettamente il precedente primer bianco Tamiya e rendendo meno problematica di quanto pensassi l’unica fase che realmente temevo di tutto il montaggio, ovvero la pittura monocromatica gialla.

Ottimi i freni a disco, che resteranno visibili attraverso i cerchioni a raggi sottili: il colore dei dischi è argento (ho usato il «polished alluminium» della serie Metalcote della Humbrol per rendere la caratteristica lucentezza di queste parti) mentre la parte centrale del disco stesso è in XF-31 Tamiya «titanium gold». Per quanto riguarda i cerchi, li ho dipinti in nero semi-lucido usando lo smalto Humbrol numero 85. L’altro intervento «extra-istruzioni» è stato quello di eliminare la fastidiosa bava centrale sulle gomme usando una limetta per unghie da donna, rubata a mia mamma…

Gli interni della macchina sono molto completi e come detto in fase di recensione, l’unico neo è dato dalle cinture di sicurezza in formato di decals, ma ho lasciato perdere, usandole lo stesso. Sempre su decal sono forniti tanto i rivestimenti di kevlar quanto quelli di carbonio che avvolgono il sedile, anche qui con un buon effetto. Il colore dominante è il giallo, con alcuni particolari in nero semi-lucido, un mix tutt’altro che riposante per il povero pilota!

C’è da dire che il montaggio di queste auto è davvero veloce e senza storia, del tutto priva di difficoltà: tutto quello che deve fare il modellista è concentrarsi sulla colorazione dei singoli particolari per farli rendere al meglio. Unici punti delicati sono alla fase 3 l’installazione del motore e della trasmissione e il montaggio della struttura di sicurezza che si compone di cinque parti.

 Arriviamo così alla colorazione, per cui ho usato il già citato «giallo girasole» della Talken, steso in più mani leggere previa stesura di una mano di primer Tamiya bianco. Una mano di cera Future (è la prima volta che la provavo e devo dire che è un portento) ha profumato il modello di fragola e ha preparato ottimamente la superficie alla stesura delle decals. La fase è stata un po’ problematica perché le decals sono abbastanza vecchiotte soprattutto ben ancorate al loro supporto, e quelle più lunghe e delicate mi han fatto correre non pochi brividi lungo la schiena, ma alla fine tutto si è sistemato. La mia scelta è caduta sulla vettura numero 15, quella pilotata da Van Ommen. Attenzione alle istruzioni, perché le due auto differiscono in alcuni marchi e nella loro disposizione, e quindi bisogna decidere quale vettura si vuole rappresentare! Un’altra spruzzata di Future per sigillare le decals e poi si passa alla delicata fase della pittura delle guarnizioni dei finestrini. Qui consiglio di effettuare un paziente lavoro di mascherature per non sbavare, e soprattutto di ridurre ai minimi termini il potere adesivo dello scotch, onde evitare di rovinare irreparabilmente le decals (secondo voi perché ve lo dico?…). ora la mia proverbiale leggerezza, quella che non mi permette ma idi finire un modello senza fare casini, me ne ha fatta combinare un’ altra: immergendo il modello nella Future per renderla ancora più lucida, la simpatica cera mi ha sciolto completamente la vernice, rovinando il modello; inoltre il fatto che alcune parti fossero stampate in giallo e altre in nero, ha fatto si che, nonostante abbondanti mani di primer bianco Tamiya, la tonalità di giallo risultasse diversa; niente problemi per le parti interne, un po’ più grave il difetto per l’alettone, che risulta di un giallo diverso rispetto alla scocca! Bene, ora non resta che assemblare la scocca al telaio, assemblare i particolari minori (specchietti, maniglie delle porte, alettone), montare le ruote e la nostra Mercedes è finita! Ora la metto vicino alle due Alfa e metterò mano alle altre due Mercedes che ho nell’armadio per completare la serie! Sebbene non sia per nulla soddisfatto del mio lavoro, portarla a termine mi ha sbloccato psicologicamente da un periodo lungo in cui non ero riuscito a portare a termine un modello. Inoltre ho pure la scusa per prenderne un’altra, sempre che si trovi…

Buon modellismo!

 

E se…mi fermassi a riflettere un attimo? Seriamente, con tutta la calma del caso e guardassi indietro e avanti, ma anche al presente. Lo faccio, mi fermo e rifletto. Cosa vedo? Che sbaglio sempre qualcosa, che faccio sempre una cavolata, che mi faccio prendere dalla fretta, che in un modo o nell’altro non c’è una volta che io riesca a fare un modello che non dico sia perfetto –la perfezione non esiste- ma che almeno no presenti gravi difetti o errori. Mi fermo, rifletto un attimo e vedo:

·        una interminabile pigna di scatole di montaggio ammonticchiate nel mio armadio, senza un nesso logico che colleghi i singoli soggetti se non quello della spesa per la spesa (che non è una operazione matematica che da come risultato la spesa al quadrato..)

·        di conseguenza tanti soldi spesi per niente

·        qualcosa come 200 scatole acquistate, 150 iniziate, meno di dieci modelli finiti…

·        mi sono intossicato per niente, inoltre il fatto di dover lavorare in spazi non proprio dedicati al modellismo non ha giovato

Ora, dopo l’ennesimo modello fallito eccomi qui a scrivere queste parole e a pensare di lasciare un po’ da parte il modellismo (non faccio più però la sparata di dire «Lascio tutto, addio!», come un paio di anni fa; sarò più cauto) e prendermi un po’ di riflessione. Nonché i modellismo precluda altre cose nella vita, ma forse ho perso troppo tempo e investito troppe risorse a vuoto nel mio hobby che è giunto il momento di darsi una regolata. Troppe occasioni ho sprecato e troppo tempo ho buttato chiuso in casa a respirare vernici, a zampettare senza costrutto da una scatola all’altra, accumulando magari accessori poi rimasti inutilizzati, sognando il grande modello che lasciava tutti a bocca aperta, salvo poi dover far scontrare questa mia utopia con la realtà. La realtà? Forse davvero non è l’hobby che fa per me! Qui ci vogliono ordine e pazienza, cose che in me sono presenti quanto i dromedari al polo Nord, non basta avere una mente immaginifica per far materializzare il modello! Non appena vernicio, vorrei che la pittura fosse già asciutta, in modo che possa continuare. Quando comincio a vedere vicino il traguardo, ecco la fregola di vedere il modello finito. Risultato? Modello rovinato, accantonato e uno nuovo iniziato. Moltiplicate il tutto per 10, 100 e otterrete la dimensione dello spreco!

Non sono capace di impormi di lavorare su un solo modello e non iniziarne un altro fino a che esso non è finito è più forte di me, in più se non sono io che rovina il modello ci si mette la sfiga, che faccio molto per attirare (se la fortuna aiuta gli audaci, la sfiga perseguita gli idioti!). risultato? Prendete lo Hien che sto costruendo adesso: un potenziale bel modello rovinato, che a breve o verrà accantonato a favore di un altro progetto, oppure completato per onore di firma ma con la conseguenza che ogni volta che lo guarderò non sarò soddisfatto del mio lavoro! Ergo, altri soldi comunque buttati…

Mi viene la depressione, la voglia di smettere, ma per ora mi prendo solo una riflessione e mi do ad altro, poi si vedrà! Non annuncio nulla, sputtanarmi ancora una volta non ne ho proprio voglia! Avevo già detto due anni fa di voler smettere, di non voler più aver nulla a che fare col modellismo, avevo annunciato che mai e poi mai sarebbe entrata in casa mia alcun’altra scatola, ma poi è successo tutto il contrario. E siccome non ho più l’età di bimbo, certe cose è meglio non spararle ai quattro venti salvo poi dover tornare indietro in maniera altrettanto plateale. E comunque lo Hien lo finisco…

Da poco ritornato da Roma dove ho avuto modo di partecipare alla mostra “Euroma”, eccomi qui a buttare giù un paio di riflessioni semi-serie sull’utilità o meno dei concorsi modellistica! Concorso si o concorso no?

La mia opinione? Assolutamente si, ma a determinate condizioni:

a)      che il confronto e la competizione siano sane e costruttive; uscire matti per ottenere solo una coppetta o una medaglietta è deleterio per l’hobby. In caso di esito negativo della vostra “spedizione” non è il caso di prendere a botte la fidanzata o lanciare l’aerografo giù dal balcone incolpando esso della non vincita di un premio, o insultando i giudici dando prova di un’ottima conoscenza delle lingue straniere: quella riservatela quando siete all’estero!

b)      che la partecipazione alla mostra venga presa come un’occasione di confronto e miglioramento delle proprie tecniche e capacità; che nessuno vada lì con la pretesa di sapere tutto lui ed essere er mejo sul mercato!

c)      che la partecipazione a una mostra sia l’occasione per incontrare amici, magari farne di nuovi, scambiare due chiacchiere con altre persone che condividono il tuo stesso hobby in serenità e amicizia, magari davanti a una buona birra

d)      che, mi ricollego al punto uno, l’idea di vincere non diventi un’ossessione: si rischia di non volerne più sapere del modellismo

Qualora vengano meno questa cose, allora sarebbe meglio fare una semplice mostra senza alcun concorso, si eviterebbero polemiche, scontri, risse da saloon e tante altre cose poco edificanti e che mal si sposano con un hobby! La vita ci offre già fin troppi motivi per incazzarci, se anche non ce ne creiamo altri abbiamo tutto da guadagnarci…

È innegabile che possa essere bello veder riconosciuto il proprio lavoro, ma io torno a casa ancora più soddisfatto quando trovo delle persone che mi insegnano i loro trucchi e mi danno consigli per migliorarmi. Dopotutto una semplice regola di vita: accontentiamoci delle cose semplici, sono sempre le più belle…

Buon modellismo!

Per gli americani era “Tony” o “Antonio” per via della grande somiglianza con l’italianissimo Macchi 202/205, per i giapponesi era la “Rondine”. Sto parlando del Kawasaki Ki-61, l’unico caccia giapponese ad essere equipaggiato con un motore in linea raffreddato a liquido, mentre tutti gli altri avevano un motore radiale. Come propulsore fu scelto il tedesco DB-601, che però fu modificato dai tecnici Kawasaki fino a renderlo più leggero. Tuttavia questo provocò numerosi inconvenienti e molti aerei andarono perduti in incidenti. A parte questo difetto, si trattò di un ottimo caccia, un duro avversario per i caccia americani e anche per le superfortezze B-29 che volavano a scaricare i loro “regalini” sui poveri giapponesi inermi durante le violente campagne di bombardamento che poi coem purtroppo ben sappiamo, culminarono con la sgancio delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Durante quelle drammatiche fasi di guerra, gli Hien si dimostrarono ottimi aerei, ma lo scarseggiare del carburante e il sempre minor addestramento dei piloti per via delle emergenza belliche, resero inutile il suo potenziale.

Devo dire che non sono un appassionato di aerei giapponesi e di WWII in genere, ma quando ho adocchiato questo kit scontato e l’ho aperto non ho saputo resistere. All’interno troviamo 5 stampate in plastica grigio scuro più una di trasparenti, per un totale di 151 parti. Il dettaglio di superficie è ottimo, come del resto quello interno e quello generale. Dopotutto la Hasegawa gioca in casa e ha sfornato un modello sublime già da scatola. L’abitacolo si compone di una trentina di parti, alcune veramente minuscole! L’unico difetto è dato dalla mancanza delle cinture di sicurezza, per il resto direi che è del tutto superfluo ricorrere a set di dettaglio. Intelligente i ricorso a un longherone per il fissaggio di ali e piani di coda, col duplice scopo di rendere robusto il montaggio e dare il giusto diedro alle parti. Ottime le ruote, già fornite di effetto peso, buoni i vani carrello. I trasparenti sono limpidi e confezionati a parte, per evitare sfregamenti e graffi, e fornisco il tettuccio sia scomposto in tre elementi sia in unico pezzi, a seconda che lo si voglia rappresentare aperto o chiuso. Come piccolo bonus della produzione iniziale è fornito il figurino in piedi del tenente Kobayashi, mentre nelle stampate è presente un ottimo pilota da mettere dentro l’abitacolo! Per concludere il foglio decals: esso offre la possibilità di realizzare tre aerei: quello di Kobayashi (a cui furono accreditati ben dodici B-29 abbattuti!!) in metallo naturale con macchie in verde, uno in metallo naturale e uno con mimetica verde su metallo naturale! Non c’è che l’imbarazzo della scelta. A mio modo di vedere un ottimo kit, come nello stile Hasegawa degli ultimi tempi (meravigliosi i suoi FW-190, Bf-109 e P-47 nella grande scala!), che già da scatola può fare un figurone, mentre nelle mani di modellisti esperti può davvero diventare un capolavoro! E io che saprò farne? Aspettate e vedrete! Un articolo su queste pagine comparirà molto presto, giusto il tempo di mettere assieme il kit!

 

  • MODELLO: Kawasaki Ki-61-I
  • SCALA: 1/32
  • MARCA: Hasegawa
  • ARTICOLO: ST28
  • TIPO KIT: plastica a iniezione
  • PREZZO: 35 euro (in offerta!!!)
  • COSA VA: ottimo dettaglio, scomposizione intelligente
  • COSA NON VA: mancanza cinture di sicurezza

Il Tomcat è troppo noto e lo spazio a disposizione troppo esiguo perché ne possa tracciare un profilo storico/tecnico. Per quello lascio la parola alla miriade di libri, monografie che trattano l’argomento. Esso è un vero e proprio mito fra i modellisti e gli appassionati di aeronautica in genere: quanti di noi non sono rimasti affascinati dal Micione dopo averlo ammirato nel film «Top Gun»? e quanti di noi modellisti, dopo aver visto il film, non sono immediatamente corsi nel negozio sotto casa ad acquistarne una scatola? E se l’aereo è un mito, altrettanto lo è il kit Hasegawa in 1/48! Per tutti questo è IL Tomcat per antonomasia. La versione da me recensita in questa occasione è la D, l’ultima evoluzione, caratterizzata da motori più potenti e da avionica perfezionata. La scatola è relativa alla crociera d’addio del Tomcat, in questo caso con gli accattivanti colori del VF-2 i famosi  «Bounty Hunters». Si tratta di un’edizione limitata. La copertina è caratterizzata non dal disegno dell’ottimo Koike Shigeo, ma da una foto dell’esemplare vero –uno dei due riproducibili con l’annesso foglio decals-  coni colori sgargianti del CAG. Anche se livree portate dalle ultime versioni del Tomcat non sono il massimo in quanto a colore, tuttavia ci si può sbizzarrire con la sporcatura e l’invecchiamento. E a giudicare dalla foto ci sarà da divertirsi parecchio! Come dicevo le decals danno la possibilità di realizzare due esemplari del glorioso Vf-2, un aereo del CAG –il comandante del gruppo- con insegne ad alta visibilità e uno più anonimo con insegne low-viz! Scopriamo poi il fascicoletto delle istruzioni diviso in 41 passaggi molto chiari, l’ottimo foglio decals, ben stampato dalla nostra Cartorgraf,  dieci stampate in plastica grigia, una in plastica trasparente, una scatoletta con dentro una lastrina fotoincisa, le ruote in gomma, i cerchi in metallo bianco. In tutto sono 250 pezzi da assemblare. Analizzando il modello, si può notare innanzitutto che la scomposizione in un elevato numero di parti rende difficoltoso il montaggio, soprattutto a livello delle prese d’aria. Passando al dettaglio, notiamo un buon dettaglio per abitacolo e vani (migliorabili entrambi oppure sostituibili con i set in resina!). le ali possono essere posizionate con la freccia a piacere e c’è la possibilità di montare flap e slats estesi. Ottimi i carrelli, che necessitano solo l’aggiunta dei cavetti dei freni. Purtroppo sono del tutto assenti i carichi missilistici (ci sono solo due serbatoi da mettere sotto le prese d’aria) il che obbliga a recuperar i missili da altri modelli o in alternativa a acquistare i weapon set alternativi Hasegawa. Visto il  costo non irrisorio del modello, almeno potevano mettere qualche missile, visto che kit meno blasonati e più economici (si legga Academy, Italeri, Revell) forniscono carichi completi…

Che dire in conclusione? Un kit mitico, una sfida affascinante che non finisce mai di attirarmi in trappola –un po’ come il malefico canto delle sirene…- e che sarà il mio prossimo progetto! Tempo di liberarmi di altri montaggi in corso, procurarmi qualche resina e fotoincisione e poi il Micione Hasegawa atterrerà sul mio tavolo di lavoro! Seguirà articolo!

 

  • MODELLO: F-14D Tomcat «VF-2 Bounty Hunters last cruise»
  • SCALA: 1/48
  • MARCA: Hasegawa
  • ARTICOLO: 09719
  • TIPO KIT: plastica a iniezione
  • PREZZO: 50 euro circa
  • COSA VA: ottimo dettaglio inciso, buon dettaglio di cockpit e vani carrelli, fotoincisioni
  • COSA NON VA: montaggio non troppo agevole, mancanza di carichi alari

Ju-87 G-1 Stuka “Kanonenvogel”

Pubblicato: 14/04/2008 in Aerei

Se qualcuno dovesse mai chiedermi per quale motivo ho acquistato questo kit, non lo saprei nemmeno io! Mi spiego: usualmente mi occupo di aerei moderni, specialmente quelli britannici, ma mi piacciono in genere i moderni jet. E allora perché mai uno Stuka? Probabilmente il quesito rimarrà per sempre insoluto. Fatto sta che dopo aver a lungo temporeggiato, alla fine mi sono deciso a costruirlo.
La scala 1/32 è la mia favorita, nonostante non abbia spazio in casa e i miei siano in costante piede di guerra per questa mia scelta. Ma tant’è: prima o poi passando sotto casa mia si potranno trovare tante belle scatole a prezzo di…spazzatura!! Quindi passate, amici modellisti e potreste fare l’affare della vita!
Ok, basta scherzare. Il kit Hasegawa da me scelto è dedicato alla versione G, anticarro. La cellula di base è quella di uno Ju-87 D-5. esternamente si distingue immediatamente per i cannoni da 37 mm appesi sotto le ali. Questa particolare versione dello Stuka fu progettata apposta per combattere i possenti carri sovietici nel fronte orientali. Legato a filo doppio a questo aereo, c’è la leggendaria figura di Ulrich Rudel, l’asso della caccia ai carri sul fronte russo. Nelle prime tirature del kit c’era come bonus un figurino in metallo proprio dell’asso tedesco in compagnia del suo cane.
All’interno della grossa scatola troviamo delle ottime stampate in plastica grigio scuro, molto ben incisa e molto lavorabile. I pezzi che compongono il modello, stando alle indicazioni messe sulla scatola, sono 167. il dettaglio è più che buono, il cockpit è completo, anche se un po’ basico, mancando anche delle cinture di sicurezza. Molto ingegnosa la soluzione del longherone per permettere il giusto diedro alle ali e dare robustezza all’incastro. Davvero ben studiato! I trasparenti sono molto belli, mentre le decals sono per due esemplari: uno è lo Ju-87G2 di Rudel, l’altro un G-1
 Piuttosto anonimo. Ricordo che la Cutting Edge ha appena messo in commercio due fogli dedicati allo Stuka Hasegawa, con soggetti meno banali e più accattivanti. Sono forniti i pezzi opzionali per le due versioni (estremità alari, flaps e pannelli alari), mentre per facilitare la colorazione a fondo del foglio istruzioni ci sono della mascherine da ritagliare e applicare al modello!
Davvero un modello a prova di principiante!

 

MONTAGGIO

 Nulla da dire sul montaggio, dato che ho montato il modello esattamente come esce dalla scatola. Ricordo che, per chi volesse superdettagliare all’inverosimile il modello, la Eduard ha commercializzato due set fotoincisi, uno per gli interni e uno specifico per le cinture di sicurezza, mentre da Aires e Verlinden sono stati commercializzati rispettivamente un set per le ruote e uno per il motore, entrambi in resina.  La costruzione come al solito è cominciata dall’abitacolo, composto da una ventina di pezzi di buona qualità. Il tutto è stato dipinto il grigio RLM66 Gunze, poi drybrushato con il grigio RLM 76 per dare risalto ai dettaglio. Dato che il mio scopo era quello di arrivare il più velocemente alla verniciatura, che è la parte più divertente a mio modo di vedere del modellismo, non ho aggiunto alcun dettaglio. L’unione delle due fusoliere non provoca problemi, così come il resto del montaggio, davvero sbalorditivo per la sua semplicità e linearità. I giapponesi, al momento della progettazione dello stampo, hanno davvero fatto un bel lavoro! Bravi!
L’unico punto che richiede attenzione è quello del montaggio delle ali, perché è qui che si hanno le maggiori differenze fra G-1 e G-2, quest’ultimo ha un’apertura maggiorata rispetto al G-1, quindi attenzione a non confondere i pezzi! Superato quest’ostacolo, il modello è praticamente finito, dal momento che anche il resto delle giunzioni è senza storia; forse il cofano è un po’ laborioso, ma alla fine tutto si risolve con poco stucco e una carteggiatina. A parte ho montato e verniciato l’elica, dipingendo le pale in RLM70. so poco degli aerei WWII, ma perlomeno so che non devo scrostare le pale…sono di legno!!!!! L’ogiva è in RLM66 così come i cerchi di ruote e ruotino.

Ed eccoci al puro divertimento, ovvero la fase della colorazione! Ho deciso di realizzare l’esemplare G-1, appartenete ad un centro prove Luftwaffe, ma non per questo l’aereo è pulito!!!
Per prima cosa ho dato una mano di fondo usando un grigio molto chiaro della Lifecolor. Poi con il nero ho fatto il pre-shading e ho lasciato asciugare.
La mimetica del mio aereo è quella classica a sprinter 70771 su 65. I colori usati sono i Gunze, molto diluiti e passati in mani leggere. I riferimenti sono H-67 per l’azzurro 65, H-64 per i verde RLM71, H-65 per il verde più scuro RLM70. ho cominciato dalle superfici inferiori, più chiare per poi passare ai verdi superiori. Ho usato le mascherine fornite dal kit. Ho schiarito il centro delle pannellature sotto con il blu mischiato al bianco, sopra con una passata di giallo mooooooooolto diluito!
Una passata di lucido prepara il modello alla posa delle decals; qui ho avuto problemi con il liquido ammorbidente Gunze: essendo una delle prime volte che lo uso, non ho ancora capito il giusto dosaggio e molte decals me le ha devastate…per fortuna poco visibili!
Una mano di opaco trasparente, sempre Humbrol, sigilla il tutto. Le pannellature sono state evidenziate con un pennarello per disegnatori a punta fine (0,05 mm).

FINITURE
Il montaggio degli ultimi particolari completa il montaggio: tettucci, cannoni, ruote e ruotino di coda, antenne varie ed il gioco è fatto!!
La costruzione del modello mi ha complessivamente soddisfatto e m isono molto divertito nel farlo! Ora però, lasciatemi tornare ai miei soggetti moderni, anche se non escludo puntate nella WWII. Il Dauntless mi tenta.. Però per ora mi faccio un bell’F-16!! Ah…1/32 bien sûr…

Buon modellismo Alessandro Gennari

 

Bae Nimrod – Airfix 1/72

Pubblicato: 09/03/2008 in Recensioni aerei

E dopo tanta attesa, eccolo finalmente fra le mie mani! Parlo del Nimrod Airfix in 1/72, che segna il ritorno dell’Airfix a un modello nuovo dopo tempo immemore! Esso si presenta dentro una scatola imponente, e il modello finito non lo è da meno: infatti il modello finito è lungo quasi 60 cm per un’apertura alare di quasi 50! Più o meno quanto un F-15 in…1/32! All’interno troviamo tre grandi stampate in plastica grigia e altre tre di dimensioni più piccole, più una di trasparenti, per un totale di 250 pezzi da assemblare. Il dettaglio di vani carrelli, abitacolo è molto spoglio, per contro le incisioni sono in fine negativo e tutte le superfici di governo sono separate permettendo la scelta di come montarle. Le istruzioni sono un libretto vero e proprio, da studiare attentamente prima di iniziare l’assemblaggio, che deve partire sol quando si ha già ben chiaro quale delle 6 versioni proposte dalla scatola realizzare. Le decals, stampate su un foglio formato tovaglia dall’aspetto decisamente lucido, coprono tutte le versioni e tutte le livree del Nimrod, a partire da un MR.1 in livrea bianco/grigia ambientabile sul finire degli anni 70, passando per la mimetica a due toni Hemp su Grigio (con un esemplare che ha preso parte alla guerra nella Falkland, uno basato in Australia e uno operativo nell’operazione Telic) fino ad arrivare a versioni attuali in mono-grigio o in bi-grigio. Ciascuna di queste versione ha dei propri pezzi opzionali, comunque adeguatamente segnalati dalle istruzioni, che dopo 19 fasi di costruzione comune a tute le versioni, nei successivi passaggi spiega versione per versione quali pezzi usare. Un po’ carente l’indicazione della colorazione, che si limita, almeno nella parte del montaggio a fornire il numero dello smalto Humbrol senza specificare il nome del colore né un suo riferimento BS o FS. Tornando ai particolari, ottimamente rese a mio avviso sono le ruote e i carrelli, mentre viene fornita un’ampia scelta di carichi bellici da installare nella lunga stiva bombe, che si può montare aperta o chiusa. Un’ultima considerazione ancora sulle decals: esse sono molto complete di tutti gli stencils di servizio, davvero numerosi. In conclusione un modello che fa prudere le mani, ma che si presenta impegnativo per via soprattutto delle ragguardevoli dimensioni e inoltre, leggendo un articolo apparso di recente su Scale Aviation Modeller International, le giunzioni dei pezzi principali sono tutt’altro che perfette, ma può darsi che quello fosse un problema dell’esemplare recensito sulla rivista che era ancora un test. Quando affronterò il montaggio pubblicherò un articolo su queste pagine per mostrare il bestio finito!  

 ·         MODELLO: BAe Nimrod

·         SCALA: 1/72

·         MARCA: Airfix

·         ARTICOLO: A12050

·         TIPO: plastica a iniezione

·         PREZZO: 55 euro

·         COSA VA: incisioni in fine negativo, ottima scelta di decals, istruzioni chiare, unico Nimrod in questa scala

·         COSA NON VA: scarso dettaglio interno, indicazione dei colori solo con referenze Humbrol